Un libro che fa sentire il calore, l’afa di un soleggiato agosto siciliano. La nota ricorrente è la sofferenza di Salvo Montalbano al calore ferragostano nel quale deve ancora lavorare e risolvere un nuovo caso di omicidio.
Tutto ha inizio quando arriva a Vigata Livia con una coppia di amici per passare le vacanze estive. La storica fidanzata del commissario è stata rassicurata da Montalbano che ad agosto non avvengono mai omicidi (strano… di solito si dice che il caldo dia un po’ alla testa!) e quindi è arrivata in Sicilia fiduciosa di poter passare un po’ di tempo tranquillamente con lui. La coppia di amici si trasferisce in una casa di vacanza, trovata con fatica da Montalbano, dove iniziano ad accadere strani fenomeni: scarafaggi e altri essere disgustosi apparsi all’improvviso da buchi nascosti. L’ultimo fatto che costituisce la goccia che fa traboccare il vaso è l’improvvisa scomparsa del figlio dei due, Bruno. Dopo varie ricerche, il bambino viene ritrovato in una buca che altro non è che il passaggio verso un piano abusivo sotterrato in attesa di un condono (il sarcastico Camilleri accenna spesso all’attesa di un prossimo condono per far “riemergere” il piano sotterraneo).
Dopo aver salvato il bambino, nello stesso ambiente nascosto viene ritrovato il corpo di una giovanissima ragazza, uccisa sgozzata circa sei anni prima, periodo in cui erano finiti i lavori della casa.
Da subito, Montalbano punta la sua attenzione su Spitaleri il geometra corrotto, colluso e anche pedofilo che si era occupato della costruzione.
Come al solito, l’indagine assorbe totalmente Montalbano e questo scatena una reazione violenta e risentita di Livia che non sopporta di essere messa da parte e di essere presa in giro dal fidanzato. Quindi parte per Genova con i suoi amici e poi si reca in vacanza sulla barca del cugino da cui risulta irrintracciabile. Emerge una debolezza di Montalbano, rimasto solo, che ora si ritrova “minacciato e insidiato” dalla bellezza e dall’intraprendenza della bellissima Adriana, sorella della vittima. Eh, la carne è debole e, come diceva una vecchia ma efficace pubblicità “Antò, fa caldo!”
Veniamo all’indagine e al giallo! Da subito era sembrato abbastanza scontato individuare il colpevole perché tutti gli indizi, e anche le antipatie, portavano in un’unica direzione. Mentre leggevo, mi stupivo che la soluzione dell’enigma potesse essere così semplice, perfino per me che di gialli non ci capisco nulla e che di solito mi ci perdo nei meandri. In realtà, Camilleri è bravo a creare comunque nel finale un effetto sorpresa, anche se esso è un po’ malinconico.
Ci sono alcune pagine veramente poetiche: una su tutte è quella in cui si ricostruisce con esattezza la modalità dell’omicidio e la sua efferatezza. Dopo di essa Montalbano fugge via verso un fienile, si spoglia e si tuffa tra il fieno, facendosene sommergere e sentendosene ripulito. Non è solo il bisogno di pulirsi dal sudore ma è una vera ricerca di purificazione contro la bruttura del delitto.
Un’ultima annotazione sulla lingua: so che è veramente la cifra di Camilleri, so che per lui il dialetto ha maggior valore espressionistico, ma io, nonostante sia siciliana, a volte non lo sopporto proprio perché, sembrerà strano, ma mi appesantisce la lettura. Alcune volte devo proprio tradurre, altre devo cercare di capire quale sarebbe il corrispettivo catanese della forma agrigentina. Insomma, a parte qualche battuta e a parte la novità dei primi tempi, a me questo uso del dialetto ha un po’ stufato. Non a caso io preferisco il Camilleri non Montalbano!
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