1992: Leo Deakin si risveglia in un piccolo ospedale in un luogo imprecisato del Sud America. La sua fidanzata, Eleni, è morta e Leo, in stato confusionale, non ricorda nulla di quanto è successo. Accusa se stesso della tragedia e viene risucchiato in una spirale di disperazione. Eppure Leo è sul punto di trovare qualcosa che cambierà per sempre la sua vita.
1917: Moritz Daniecki è un soldato austro-ungarico fuggito da un campo di prigionia in Siberia. Settemila chilometri di steppa lo separano dal suo villaggio e dall’amore della sua vita il cui ricordo lo ha sostenuto durante tre anni di guerra e di follia. Moritz deve ora affrontare un viaggio drammatico in un paese lacerato dalla guerra civile e non sa che cosa troverà quando, infine, stremato, ma determinato a chiedere la mano della sua amata, riuscirà a tornare a casa. Danny Scheinmann racconta, in questo libro straordinario, la storia di due uomini che sopravvivono e vivono grazie alla memoria di un amore intenso e profondo, una storia che, in modo sorprendente, unirà i loro destini attraverso i confini del tempo e dello spazio.
Questo libro è stato stranamente piacevole da leggere, dico stranamente perché il contenuto, già dalle prime pagine, non è molto allegro.
Il primo dei due protagonisti, Leo Deakin, giovane ricercatore inglese, si trova in Sud America con la fidanzata Eleni, quando questa muore all’improvviso in un incidente stradale. Distrutto da dolore si chiude nel torpore, nell’abulia, privo del desiderio di vivere, cercando di ritrovare nella sua vita tracce di Eleni e perseguitato dal senso di colpa per la scomparsa dell’amata.
Con un salto temporale all’indietro di quasi ottant’anni seguiamo la vicenda del nonno di Leo, Moritz Daniecki, ungherese, innamorato da sempre della giovane Lotte. Arruolato nell’esercito autro-ungarico durante la prima guerra mondiale, fatto prigioniero e recluso in Siberia, con la confusione del 1917, la rivoluzione sovietica, scappa e attraversa a piedi la Siberia e la Russia. Ci impiega tre anni a tornare in patria e a rivedere Lotte, promessa sposa a un altro. A spingerlo in questo viaggio disperato che lo porta ad affrontare svariati pericoli è la speranza di riabbracciare il suo amore, ma anche la speranza nel domani, la fiducia nel futuro. Moritz sposerà Lotte, avrà da lei tre figli, ma la sua salute sarà compromessa dagli anni di prigionia e morirà nel 1938 poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale; la sua famiglia sarà vittima delle persecuzioni razziali, si salverà solo il figlio maggiore, Frank il padre di Leo.
La storia di Moritz sarà per Leo la più grande eredità che gli si potesse trasmettere, l’insegnamento di un uomo che ha lottato strenuamente, appeso a un filo di speranza. Ha dato a Leo un esempio di attaccamento alla vita che gli ha fatto capire che la sua vita può continuare al di là della scomparsa di Eleni.
Non nascondo che questo libro ha dei passaggi un po’ pesanti, soprattutto le descrizioni della guerra, mentre le pagine dedicate a Leo sono più brillanti e veloci. Il bilancio finale, però, è quello di una storia commovente, nella sua semplicità e linearità.
1917: Moritz Daniecki è un soldato austro-ungarico fuggito da un campo di prigionia in Siberia. Settemila chilometri di steppa lo separano dal suo villaggio e dall’amore della sua vita il cui ricordo lo ha sostenuto durante tre anni di guerra e di follia. Moritz deve ora affrontare un viaggio drammatico in un paese lacerato dalla guerra civile e non sa che cosa troverà quando, infine, stremato, ma determinato a chiedere la mano della sua amata, riuscirà a tornare a casa. Danny Scheinmann racconta, in questo libro straordinario, la storia di due uomini che sopravvivono e vivono grazie alla memoria di un amore intenso e profondo, una storia che, in modo sorprendente, unirà i loro destini attraverso i confini del tempo e dello spazio.
Questo libro è stato stranamente piacevole da leggere, dico stranamente perché il contenuto, già dalle prime pagine, non è molto allegro.
Il primo dei due protagonisti, Leo Deakin, giovane ricercatore inglese, si trova in Sud America con la fidanzata Eleni, quando questa muore all’improvviso in un incidente stradale. Distrutto da dolore si chiude nel torpore, nell’abulia, privo del desiderio di vivere, cercando di ritrovare nella sua vita tracce di Eleni e perseguitato dal senso di colpa per la scomparsa dell’amata.
Con un salto temporale all’indietro di quasi ottant’anni seguiamo la vicenda del nonno di Leo, Moritz Daniecki, ungherese, innamorato da sempre della giovane Lotte. Arruolato nell’esercito autro-ungarico durante la prima guerra mondiale, fatto prigioniero e recluso in Siberia, con la confusione del 1917, la rivoluzione sovietica, scappa e attraversa a piedi la Siberia e la Russia. Ci impiega tre anni a tornare in patria e a rivedere Lotte, promessa sposa a un altro. A spingerlo in questo viaggio disperato che lo porta ad affrontare svariati pericoli è la speranza di riabbracciare il suo amore, ma anche la speranza nel domani, la fiducia nel futuro. Moritz sposerà Lotte, avrà da lei tre figli, ma la sua salute sarà compromessa dagli anni di prigionia e morirà nel 1938 poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale; la sua famiglia sarà vittima delle persecuzioni razziali, si salverà solo il figlio maggiore, Frank il padre di Leo.
La storia di Moritz sarà per Leo la più grande eredità che gli si potesse trasmettere, l’insegnamento di un uomo che ha lottato strenuamente, appeso a un filo di speranza. Ha dato a Leo un esempio di attaccamento alla vita che gli ha fatto capire che la sua vita può continuare al di là della scomparsa di Eleni.
Non nascondo che questo libro ha dei passaggi un po’ pesanti, soprattutto le descrizioni della guerra, mentre le pagine dedicate a Leo sono più brillanti e veloci. Il bilancio finale, però, è quello di una storia commovente, nella sua semplicità e linearità.
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