sabato 30 aprile 2022

MATTEO STRUKUL: I Medici. Una regina al potere


 

Francia, 1536. Quando il delfino, Francesco di Valois, viene ucciso, la posizione di Caterina de’ Medici a corte si complica. È la prima ad essere sospettata dell’assassinio. Ma Francesco I, sovrano di Francia, crede alla sua innocenza e anzi, la spinge a rafforzare la sua posizione in vista del momento in cui, al fianco di Enrico II, dovrà regnare. Caterina si sente però debole, e non solo perché il marito le preferisce l’amante, la bellissima e temibile Diana di Poitiers, ma anche perché non riesce ad avere figli. Convinta di essere vittima di una maledizione, incarica Raymond de Polignac, valoroso comandante dei picchieri del re, di trovare Nostradamus, personaggio oscuro e inviso a molti, ma noto per le sue abilità di astrologo e preveggente. Lui è l’unico che potrà aiutarla a diventare madre. Fra intrighi di corte, tradimenti, umiliazioni e soprusi, Caterina attende con tenacia, finché non darà alla luce il primo dei suoi figli. Alla morte di Francesco I, quando la guerra di religione incombe, Caterina, ormai regina, non esita a stringere alleanze pericolose, complici le profezie di Nostradamus. La violenza scatenata dai cattolici contro i riformati in seguito alla congiura di Amboise è solo l’inizio di un conflitto destinato a culminare nella tragica notte di San Bartolomeo, quando le strade della capitale si imporporeranno del sangue degli infedeli e Caterina, reggente di Francia dopo la morte di Enrico II, perderà tutto ciò che ha amato…

Terzo, e doveva essere ultimo, libro della trilogia dedicata ai Medici dall’autore padovano. Questo si concentra sulla figura di Caterina de’ Medici, regina di Francia. Personaggio molto discusso, una regina passata alla storia per la sua spietatezza: era una regina straniera, mai particolarmente amata dai Francesi, e famigerata per aver voluto lo sterminio degli ugonotti della Notte di S. Bartolomeo. A mio modesto parere, il personaggio di Caterina non è ben delineato perché passa dall’essere una vittima di un matrimonio infelice all’essere una regina spietata, senza far capire al lettore come e quando sia avvenuta l’evoluzione. Viene spontaneo il confronto con il personaggio del romanzo “La regina Margot” di Alexandre Dumas, e il paragone è impietoso nei confronti di questa Caterina.

sabato 23 aprile 2022

PAOLO GIORDANO: Divorare il cielo

La prima volta che Teresa li vede stanno facendo il bagno in piscina, nudi, di nascosto. Lei li spia dalla finestra. Le sembrano liberi e selvaggi. Sono tre intrusi, dice suo padre. O tre ragazzi e basta, proprio come lei. Bern. Tommaso. Nicola. E Teresa che li segue, li studia, li aspetta. Teresa che si innamora di Bern. In lui c’è un’inquietudine che lei non conosce, la nostalgia per un’idea assoluta in cui credere: la religione, la natura, un figlio.  Sono uno strano gruppo di randagi, fratelli non di sangue, ciascuno con un padre manchevole, carichi di nostalgia per quello che non hanno mai avuto. Il corpo li guida e li stravolge: la passione, la fatica, le strade tortuose e semplici del desiderio. Il corpo è il veicolo fragile e forte della loro violenta aspirazione al cielo. E la campagna pugliese è il teatro di questa storia che attraversa vent’anni, quattro vite, un amore. Coltivare quella terra rossa, curare gli ulivi, sgusciare montagne di mandorle, un anno dopo l’altro, fino a quando Teresa rimarrà la sola a farlo. Perché il giro delle stagioni è un potente cielo esistenziale, e la masseria il centro esatto del mondo.

L’amicizia fra maschi, la ribellione a Dio e ai padri, il desiderio e la rivalità: “Divorare il cielo è un grande romanzo sul nostro bisogno di trasgredire, e tuttavia di appartenere costantemente a qualcosa o a qualcuno. Al centro c’è una generazione colma di vita e assetata di senso, che conosce tutto eppure non si riconosce in niente. Ragazzi con un piede ancora nel vecchio millennio, ma gettati nel futuro alla disperata ricerca di un fuoco che li tenga accesi”.

Questo libro mi ha un po’ spiazzata perché è stata una sorpresa dopo l’altra: la storia prendeva sempre una piega inaspettata; gli sbalzi temporali creavano un effetto sorpresa continuo. I personaggi sono, a loro modo, estremi e nello stesso tempo credibili. Rappresentano una gioventù attaccata alla propria terra e ai propri ideali che, apparentemente, sembrano destinati alla frustrazione, ma che sanno sempre generare un germoglio di speranza, grazie alla loro caparbietà.

Questo autore, da più parti bistrattato per la sua opera prima, che io ho già letto, La solitudine dei numeri primi, credo che abbia scritto in questo caso un bel libro, con dei personaggi destinati a rimanere nella testa e nel cuore del lettore.

 

sabato 9 aprile 2022

VANESSA DIFFENBAUGH: Il linguaggio segreto dei fiori

Victoria ha paura del contatto fisico. Ha paura delle parole, le sue e quelle degli altri. Soprattutto, ha paura di amare e lasciarsi amare. C’è solo un posto in cui tutte le sue paure sfumano nel silenzio e nella pace: è il suo giardino segreto nel parco pubblico di Potrero Hill, a San Francisco. I fiori, che ha piantato lei stessa in questo angolo sconosciuto della città, sono la sua casa. Il suo rifugio. La sua voce. È attraverso il loro linguaggio che Victoria comunica le sue emozioni più profonde. La lavanda per la diffidenza, il cardo per la misantropia, la rosa bianca per la solitudine. Perché Victoria non ha avuto una vita facile. Abbandonata in culla, ha passato l’infanzia saltando da una famiglia adottiva a un’altra. Fino all’incontro, drammatico e sconvolgente, con Elizabeth, l’unica vera madre che abbia mai avuto, la donna che le ha insegnato il linguaggio segreto dei fiori. E adesso, è proprio grazie a questo magico dono che Victoria ha preso in mano la sua vita: ha diciotto anni ormai, e lavora come fioraia. I suoi fiori sono tra i più richiesti della città, regalano la felicità e curano l’anima. Ma Victoria non ha ancora trovato il fiore in grado di rimarginare la sua ferita. Perché il suo cuore si porta dietro una colpa segreta. L’unico in grado di estirparla è un ragazzo misterioso che sembra sapere tutto di lei. Solo lui può levare quel peso dal cuore di Victoria, come spine strappate a uno stelo. Solo lui può prendersi cura delle sue radici invisibili. Solo così il cuore più acerbo della rosa bianca può diventare rosso di passione. Il linguaggio segreto dei fiori è un fenomeno editoriale senza precedenti. Conteso da tutti gli editori, è stato venduto in ventisette paesi, con aste agguerrite e cifre record. In uscita contemporanea in tutto il globo, racconta, attaverso uno dei personaggi più straordinari mai creati, una storia di coraggio e di speranza, di abbandono e di incredibile sete di vita, mostrandoci la forza immensa dell’amore più vero, quello imperfetto e senza radici che dà senza pretendere nulla in cambio.

Questo è il romanzo d’esordio dell’autrice e, a quanto mi risulta, anche unico fino a questo momento.

La trama è, per quanto mi riguarda, piuttosto originale e interessante. Quello che mi ha maggiormente interessata è stata la vicenda personale della protagonista, Victoria. Il fatto che sia stata una bambina abbandonata e poi trasferita da una famiglia affidataria all’altra, senza avere mai stabilità, fino all’incontro con Elizabeth. Tutta questa esperienza ha fatto di lei una ragazza che non crede nell’amore e nella possibilità di meritarsi l’amore, pensa sempre di dover fronteggiare un abbandono da un momento all’altro. Inoltre ritiene sempre di dover spezzare lei il legame per prima, prima di essere abbandonata nuovamente.

L’aspetto che mi ha lasciata piuttosto incredula e che non mi ha colpito favorevolmente è quello “magico”, cioè la capacità che ha Victoria di influenzare la vita delle persone attraverso i fiori. È un espediente, a mio avviso, piuttosto surreale e che dà adito a svolte della trama un po’ semplicistico.

La trama, la costruzione della trama sono abbastanza ben fatte e, anche attraverso l’espediente di alternare il presente e il passato della protagonista tiene il lettore avvinto. Lo stile è molto fluido e anch’esso facilitatore per il lettore.

 

sabato 2 aprile 2022

FEDOR DOSTOEVSKIJ: Le notti bianche


 

Questo racconto, apparso nel dicembre 1848, ruota attorno alle figure del “sognatore”, figura così cara a Dostoevskij da spingerlo a scrivere, nel 1876, un romanzo con questo titolo. Hoffmann e Walter Scott sono gli ideali del protagonista intellettuale “senza storia”, vagabondo incline ai sofismi, timido sognatore che passa come un’ombra ai margini della realtà. Estraneo agli interessi meschini, egli reagisce alla grettezza del mondo, rifugiandosi nelle immagini della sua calorosa fantasia. Staccato così dalla vita, condanna se stesso a una penosa solitudine. Egli è prigioniero delle proprie visioni, e le prospettive immaginose, gli sciami dei sogni, pur avviando la sua esistenza squallida, squallidissima, gli offuscano il senso della concretezza terrena. Perdendo gli anni migliori, il sognatore finisce col sostituire un’inerte impalcatura di illusioni al brulichio della vita. Di questo mondo artificiale, che il panorama di Pietroburgo rende più allucinato, egli sente l’inconsistenza e la vanità; soffre di non saper vivere come gli altri, ma non riesce a districarsi dal vischio delle fantasie.

I due protagonisti sono Il sognatore, che una notte incontra una giovane in lacrime e con lei inizia un dialogo in cui rivela tutto se stesso. Notte dopo notte, i due scoprono qualcosa l’uno dell’altro. Il sognatore è un uomo eccentrico, originale che per la sua stessa natura è destinato ad essere solo. “Ho vissuto per me stesso, dolo, completamente solo… In quanto a veder gente, ne vedo, eppure sono solo”. Nostenka sembra essere colei in grado di colmare questo vuoto, ma lei ha già il cuore occupato. Che dire? Questa è sicuramente una storia esile, forse poco rappresentativa dello stile e delle tematiche di Dostoevskij, ma è un racconto che non può non catturare il cuore del lettore. L’anima candida del sognatore, destinata a una forte delusione, non può non colpire l’animo sensibile del lettore, oltre che scatenare l’immedesimazione di buona parte dei lettori.

Credo che possa essere un buon approccio all’autore, senza lasciarsi intimorire dalle opere più importanti.