sabato 7 maggio 2022

YU HUA: Cronache di un venditore di sangue


 

Una grande storia – al contempo commovente e ottimistica, grottesca e tragica – in uno dei più importanti romanzi della letteratura cinese contemporanea. Una storia per certi versi epica che racconta trent’anni della vita di Xu Sanguan, un lavoratore che trasporta tutto il giorno bachi in un grande setificio. Il protagonista vive con una moglie molto bella ma capricciosa e tre figli di cui va orgoglioso: Felice Uno, Felice Due, Felice Tre. Aiuta la sua famiglia a sopravvivere durante i duri anni della Rivoluzione culturale. E lo fa vendendo il proprio sangue nei momenti più difficili e importanti (in realtà una pratica ancora oggi realmente diffusa in Cina). Ma il sangue è anche una sorta di talismano: è un dono degli avi, e per questo non va sprecato…

In questo romanzo YU Hua dimostra di saper controllare con grande maestria un ventaglio di toni narrativi molto ampio, dal comico al grottesco, capacità che la pone indubbiamente al vertice della narrativa cinese contemporanea.

Questo libro inizia in maniera tranquilla, piacevole; chi conosce questo autore e ha già letto altri libri suoi ne riconosce la comicità grottesca, cifra della sua penna. Man mano che si va avanti, però, si inizia  a pensare che il protagonista Xu Sanguan sia un farabutto: è un po’ un despota nei confronti di moglie e figli e fa delle scelte personali piuttosto discutibili. Poi, con le difficoltà derivanti dalla rivoluzione culturale, sia lui che la moglie, Xu Yulan, subiscono una evoluzione, sì drammatica, ma che fa rivalutare il personaggio. Infine, la parte finale, contiene una vera e propria odissea del protagonista che affronta una prova quasi impossibile per aiutare proprio quel figlio che aveva minacciato di disconoscere. Xu Sanguan, a quel punto, diventa a tutti gli effetti un eroe tragico che cattura la simpatia del lettore.

Sono in questo libro presenti i soliti temi dell’autore: le trasformazioni della Cina con la Rivoluzione culturale e la perdita di “innocenza” del popolo cinese.

 

sabato 30 aprile 2022

MATTEO STRUKUL: I Medici. Una regina al potere


 

Francia, 1536. Quando il delfino, Francesco di Valois, viene ucciso, la posizione di Caterina de’ Medici a corte si complica. È la prima ad essere sospettata dell’assassinio. Ma Francesco I, sovrano di Francia, crede alla sua innocenza e anzi, la spinge a rafforzare la sua posizione in vista del momento in cui, al fianco di Enrico II, dovrà regnare. Caterina si sente però debole, e non solo perché il marito le preferisce l’amante, la bellissima e temibile Diana di Poitiers, ma anche perché non riesce ad avere figli. Convinta di essere vittima di una maledizione, incarica Raymond de Polignac, valoroso comandante dei picchieri del re, di trovare Nostradamus, personaggio oscuro e inviso a molti, ma noto per le sue abilità di astrologo e preveggente. Lui è l’unico che potrà aiutarla a diventare madre. Fra intrighi di corte, tradimenti, umiliazioni e soprusi, Caterina attende con tenacia, finché non darà alla luce il primo dei suoi figli. Alla morte di Francesco I, quando la guerra di religione incombe, Caterina, ormai regina, non esita a stringere alleanze pericolose, complici le profezie di Nostradamus. La violenza scatenata dai cattolici contro i riformati in seguito alla congiura di Amboise è solo l’inizio di un conflitto destinato a culminare nella tragica notte di San Bartolomeo, quando le strade della capitale si imporporeranno del sangue degli infedeli e Caterina, reggente di Francia dopo la morte di Enrico II, perderà tutto ciò che ha amato…

Terzo, e doveva essere ultimo, libro della trilogia dedicata ai Medici dall’autore padovano. Questo si concentra sulla figura di Caterina de’ Medici, regina di Francia. Personaggio molto discusso, una regina passata alla storia per la sua spietatezza: era una regina straniera, mai particolarmente amata dai Francesi, e famigerata per aver voluto lo sterminio degli ugonotti della Notte di S. Bartolomeo. A mio modesto parere, il personaggio di Caterina non è ben delineato perché passa dall’essere una vittima di un matrimonio infelice all’essere una regina spietata, senza far capire al lettore come e quando sia avvenuta l’evoluzione. Viene spontaneo il confronto con il personaggio del romanzo “La regina Margot” di Alexandre Dumas, e il paragone è impietoso nei confronti di questa Caterina.

sabato 23 aprile 2022

PAOLO GIORDANO: Divorare il cielo

La prima volta che Teresa li vede stanno facendo il bagno in piscina, nudi, di nascosto. Lei li spia dalla finestra. Le sembrano liberi e selvaggi. Sono tre intrusi, dice suo padre. O tre ragazzi e basta, proprio come lei. Bern. Tommaso. Nicola. E Teresa che li segue, li studia, li aspetta. Teresa che si innamora di Bern. In lui c’è un’inquietudine che lei non conosce, la nostalgia per un’idea assoluta in cui credere: la religione, la natura, un figlio.  Sono uno strano gruppo di randagi, fratelli non di sangue, ciascuno con un padre manchevole, carichi di nostalgia per quello che non hanno mai avuto. Il corpo li guida e li stravolge: la passione, la fatica, le strade tortuose e semplici del desiderio. Il corpo è il veicolo fragile e forte della loro violenta aspirazione al cielo. E la campagna pugliese è il teatro di questa storia che attraversa vent’anni, quattro vite, un amore. Coltivare quella terra rossa, curare gli ulivi, sgusciare montagne di mandorle, un anno dopo l’altro, fino a quando Teresa rimarrà la sola a farlo. Perché il giro delle stagioni è un potente cielo esistenziale, e la masseria il centro esatto del mondo.

L’amicizia fra maschi, la ribellione a Dio e ai padri, il desiderio e la rivalità: “Divorare il cielo è un grande romanzo sul nostro bisogno di trasgredire, e tuttavia di appartenere costantemente a qualcosa o a qualcuno. Al centro c’è una generazione colma di vita e assetata di senso, che conosce tutto eppure non si riconosce in niente. Ragazzi con un piede ancora nel vecchio millennio, ma gettati nel futuro alla disperata ricerca di un fuoco che li tenga accesi”.

Questo libro mi ha un po’ spiazzata perché è stata una sorpresa dopo l’altra: la storia prendeva sempre una piega inaspettata; gli sbalzi temporali creavano un effetto sorpresa continuo. I personaggi sono, a loro modo, estremi e nello stesso tempo credibili. Rappresentano una gioventù attaccata alla propria terra e ai propri ideali che, apparentemente, sembrano destinati alla frustrazione, ma che sanno sempre generare un germoglio di speranza, grazie alla loro caparbietà.

Questo autore, da più parti bistrattato per la sua opera prima, che io ho già letto, La solitudine dei numeri primi, credo che abbia scritto in questo caso un bel libro, con dei personaggi destinati a rimanere nella testa e nel cuore del lettore.

 

sabato 9 aprile 2022

VANESSA DIFFENBAUGH: Il linguaggio segreto dei fiori

Victoria ha paura del contatto fisico. Ha paura delle parole, le sue e quelle degli altri. Soprattutto, ha paura di amare e lasciarsi amare. C’è solo un posto in cui tutte le sue paure sfumano nel silenzio e nella pace: è il suo giardino segreto nel parco pubblico di Potrero Hill, a San Francisco. I fiori, che ha piantato lei stessa in questo angolo sconosciuto della città, sono la sua casa. Il suo rifugio. La sua voce. È attraverso il loro linguaggio che Victoria comunica le sue emozioni più profonde. La lavanda per la diffidenza, il cardo per la misantropia, la rosa bianca per la solitudine. Perché Victoria non ha avuto una vita facile. Abbandonata in culla, ha passato l’infanzia saltando da una famiglia adottiva a un’altra. Fino all’incontro, drammatico e sconvolgente, con Elizabeth, l’unica vera madre che abbia mai avuto, la donna che le ha insegnato il linguaggio segreto dei fiori. E adesso, è proprio grazie a questo magico dono che Victoria ha preso in mano la sua vita: ha diciotto anni ormai, e lavora come fioraia. I suoi fiori sono tra i più richiesti della città, regalano la felicità e curano l’anima. Ma Victoria non ha ancora trovato il fiore in grado di rimarginare la sua ferita. Perché il suo cuore si porta dietro una colpa segreta. L’unico in grado di estirparla è un ragazzo misterioso che sembra sapere tutto di lei. Solo lui può levare quel peso dal cuore di Victoria, come spine strappate a uno stelo. Solo lui può prendersi cura delle sue radici invisibili. Solo così il cuore più acerbo della rosa bianca può diventare rosso di passione. Il linguaggio segreto dei fiori è un fenomeno editoriale senza precedenti. Conteso da tutti gli editori, è stato venduto in ventisette paesi, con aste agguerrite e cifre record. In uscita contemporanea in tutto il globo, racconta, attaverso uno dei personaggi più straordinari mai creati, una storia di coraggio e di speranza, di abbandono e di incredibile sete di vita, mostrandoci la forza immensa dell’amore più vero, quello imperfetto e senza radici che dà senza pretendere nulla in cambio.

Questo è il romanzo d’esordio dell’autrice e, a quanto mi risulta, anche unico fino a questo momento.

La trama è, per quanto mi riguarda, piuttosto originale e interessante. Quello che mi ha maggiormente interessata è stata la vicenda personale della protagonista, Victoria. Il fatto che sia stata una bambina abbandonata e poi trasferita da una famiglia affidataria all’altra, senza avere mai stabilità, fino all’incontro con Elizabeth. Tutta questa esperienza ha fatto di lei una ragazza che non crede nell’amore e nella possibilità di meritarsi l’amore, pensa sempre di dover fronteggiare un abbandono da un momento all’altro. Inoltre ritiene sempre di dover spezzare lei il legame per prima, prima di essere abbandonata nuovamente.

L’aspetto che mi ha lasciata piuttosto incredula e che non mi ha colpito favorevolmente è quello “magico”, cioè la capacità che ha Victoria di influenzare la vita delle persone attraverso i fiori. È un espediente, a mio avviso, piuttosto surreale e che dà adito a svolte della trama un po’ semplicistico.

La trama, la costruzione della trama sono abbastanza ben fatte e, anche attraverso l’espediente di alternare il presente e il passato della protagonista tiene il lettore avvinto. Lo stile è molto fluido e anch’esso facilitatore per il lettore.

 

sabato 2 aprile 2022

FEDOR DOSTOEVSKIJ: Le notti bianche


 

Questo racconto, apparso nel dicembre 1848, ruota attorno alle figure del “sognatore”, figura così cara a Dostoevskij da spingerlo a scrivere, nel 1876, un romanzo con questo titolo. Hoffmann e Walter Scott sono gli ideali del protagonista intellettuale “senza storia”, vagabondo incline ai sofismi, timido sognatore che passa come un’ombra ai margini della realtà. Estraneo agli interessi meschini, egli reagisce alla grettezza del mondo, rifugiandosi nelle immagini della sua calorosa fantasia. Staccato così dalla vita, condanna se stesso a una penosa solitudine. Egli è prigioniero delle proprie visioni, e le prospettive immaginose, gli sciami dei sogni, pur avviando la sua esistenza squallida, squallidissima, gli offuscano il senso della concretezza terrena. Perdendo gli anni migliori, il sognatore finisce col sostituire un’inerte impalcatura di illusioni al brulichio della vita. Di questo mondo artificiale, che il panorama di Pietroburgo rende più allucinato, egli sente l’inconsistenza e la vanità; soffre di non saper vivere come gli altri, ma non riesce a districarsi dal vischio delle fantasie.

I due protagonisti sono Il sognatore, che una notte incontra una giovane in lacrime e con lei inizia un dialogo in cui rivela tutto se stesso. Notte dopo notte, i due scoprono qualcosa l’uno dell’altro. Il sognatore è un uomo eccentrico, originale che per la sua stessa natura è destinato ad essere solo. “Ho vissuto per me stesso, dolo, completamente solo… In quanto a veder gente, ne vedo, eppure sono solo”. Nostenka sembra essere colei in grado di colmare questo vuoto, ma lei ha già il cuore occupato. Che dire? Questa è sicuramente una storia esile, forse poco rappresentativa dello stile e delle tematiche di Dostoevskij, ma è un racconto che non può non catturare il cuore del lettore. L’anima candida del sognatore, destinata a una forte delusione, non può non colpire l’animo sensibile del lettore, oltre che scatenare l’immedesimazione di buona parte dei lettori.

Credo che possa essere un buon approccio all’autore, senza lasciarsi intimorire dalle opere più importanti.

sabato 26 marzo 2022

BANANA YOSHIMOTO: High & Dry. Primo amore


 

Yuko è in grado di vedere cose che gli altri non vedono, e di indovinare i desideri e i pensieri di chi le sta intorno grazie a una sensibilità fuori dal comune. Compiuti quattordici anni, tutto sembra assumere sfumature misteriose, e il mondo si popola di bizzarre creature. Yuko sta imparando ad assegnare un colore a ogni stato d’animo e ad ogni emozione; a insegnarglielo è Kiu, il suo maestro di disegno, che ha il doppio dei suoi anni. Quando da fusto di una pianta fuoriescono degli strani animi verdi, loro sono gli unici a vederli. Nello stesso istante, Yuko assapora l’incanto sottile del primo amore. Sospesa tra realtà e immaginazione, un’adolescente va incontro alla vita accompagnata dagli affetti più cari, e scopre, giorno dopo giorno, i turbamenti del cuore, la tenerezza dei sentimenti e la difficoltà di diventare grande.

Banana Yoshimoto è un’autrice giapponese che ha avuto grande successo in Italia a partire dagli anni ’90. Al tempo avevo letto alcuni suoi libri e la ricordo anche con una certa tenerezza. Un po’ di tempo fa ho scelto di comprare questo libro per riprendere il contatto con l’autrice.

Il libro, sempre molto esile, come è tipico di questa autrice, ruota attorno alle due figure di Yuko e di Kiu, legati da un amore molto particolare.

Yuko è una ragazzina di quattordici anni. Ha una famiglia molto particolare, il padre abita ormai negli Stati Uniti, la madre ha dei comportamenti che fanno pensare a una forma di depressione. Lei trova una valvola di sfogo in un corso di disegno. Qui incontra Kiu che ha il doppio della sua età ed è il suo maestro di disegno. Un giorno vivono un momento di estremo legame e da quel momento la loro vita si intreccia.

Al di là del fatto che la storia sembra essere una storia d’amore, io non la vedo del tutto così; non è, secondo me, neanche un romanzo di formazione in senso stretto. Il forte legame che si instaura tra i due personaggi dipende essenzialmente dal fatto che i due hanno subito più o meno lo stesso tipo di perdita/distacco. Così come nella sua infanzia Kiu aveva temuto di aver perso sua madre che aveva abbandonato la loro casa, allo stesso modo Yuko si sente abbandonata dal padre. In qualche modo il loro legame serve a loro a capire che il legame affettivo con i genitori non verrà mai spezzato, nonostante i casi della vita.

Lo stile di Banana Yoshimoto è sempre caratterizzato da un’attenzione per i particolari, per elementi minimi dell’esistenza, piccoli episodi che assumono nel corso della storia un significato simbolico. La trama è molto esile e anche abbastanza frammentata e concentrata su episodi minimi dell’esistenza dei protagonisti. È presente, in misura molto limitata, l’elemento magico che serve a creare un interconnessione profonda tra i protagonisti.

Qualche anno fa Banana Yoshimoto mi entusiasmava decisamente di più. Questo libro, invece, non mi ha particolarmente colpita. Io l’ho letto, anche con l’idea di poterlo consigliare alla lettura di un pubblico giovane, ma in realtà non me la sentirei di consigliarlo. Al di là della discutibile unione tra l’uomo adulto e la ragazzina, mi è piaciuto il tema delle conseguenze del distacco dal genitore, Kiu avrebbe un certo complesso di Edipo da superare, così come Yuko rischia di averne uno di Elettra da affrontare. Sicuramente questo libro offre un percorso di evoluzione per un adolescente, ma lo fa anche con uno stile così frammentato ed enigmatico che non so se un pubblico giovane potrebbe seguirlo adeguatamente ed apprezzarlo.

sabato 19 marzo 2022

RICHARD YATES: Una buona scuola


 

In un’America alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, un romanzo crepuscolare sull’amore, la giovinezza, la crescita. Un collegio maschile del New England è il teatro delle avventure di William Grove – alter ego dell’autore – che cerca un riscatto dai soprusi dei coetanei affermandosi come reporter del giornalino scolastico; di Jack Draper, professore alcolizzato alle prese con i ripetuti tradimenti della moglie; e di Edith Stone, la figlia del preside, che si innamora del ragazzo più popolare della scuola. Le vite degli studenti e degli insegnanti si intrecciano in una tela imprevedibile, le cui maglie si infittiscono via via che si avvicina l’ombra della chiamata alle armi. Originariamente pubblicato nel 1978, Una buona scuola mostra uno Yates che nel confronto con i temi dell’adolescenza trova la sua voce più nostalgica e, forse più vera.

Richard Yates è un grande classico della letteratura, purtroppo per tanti anni trascurato. In seguito al grande successo del film Revolutionary Road di Sam Mendes, la sua opera è stata riscoperta. Io ho letto per il momento solo questo suo libro, ma intendo recuperare al più presto anche gli altri.

All’interno di questa scuola, privata, molto particolare, si riunisce un gruppo di giovani. Noi seguiamo il ciclo di studi di William Grove, ma l’autore tratteggia un gruppo molto vasto di personaggi, ognuno dei quali perfettamente caratterizzato. Questo mondo collegiale, che a primo impatto mi aveva ricordato la scuola de L’attimo fuggente è caratterizzato da rapporti a volte ambigui, contrastanti, violenti. William arriva nella scuola e, all’apparenza, è un ragazzo piuttosto trasandato, vittima di scherzi, anche piuttosto forti, da parte dei compagni. Pian piano, attraverso il lavoro nel giornale della scuola e attraverso la scrittura acquista il suo posto, il suo prestigio all’interno della scuola. Accanto al gruppo degli studenti, c’è la cerchia dei professori: sono dei reietti, uomini che soffrono, spesso con rapporti famigliari molto complicati. I proff Driscoll e Droper hanno sulle spalle un vissuto pesante e anche la frustrazione di essere poco appagati dal loro lavoro. Gli adulti riprendono quei temi delle aspirazioni fallite e del malessere della vita che non è esattamente quello che ci si aspettava.

Il tema che, dal mio punto di vista, domina in questo libro è il percorso di crescita che questi giovani compiono, pur frequentando una scuola “strana”. Anche se a volte sono costretti a sopportare scherzi di cattivo gusto, se non addirittura soprusi o atti di bullismo; anche se a volte i compagni non sono quelli che ci si aspettava di avere accanto per affrontare quegli anni; anche se l’esperienza della formazione scolastica è sempre un impegno complesso; anche se questi ragazzi sono circondati da una tragedia, come la guerra, e molti di loro dopo il diploma dovranno arruolarsi, questi anni alla Dorset School saranno indimenticabili. E le lacrime del prof Driscoll alla fine del libro ci ricorda come un insegnante senza i suoi studenti non è nessuno.

Che dire dello stile di Yates? Non mi sento proprio all’altezza di giudicarlo. È estremamente realista. La sua caratterizzazione dei personaggi e i suoi dialoghi sembrano fatti apposta per essere trasformati in immagini e in trasposizioni cinematografiche. Apparentemente non fa altro che raccontare la quotidianità della scuola, nulla di particolare, ma lo sa fare, facendo immergere il lettore nella sua realtà.

Penso che le mie precedenti parole siano chiare circa il fatto che questo libro mi sia piaciuto. È stata una lettura dall’atmosfera completamente diversa dal mio solito. Ho veramente apprezzato questo racconto corale, vivido, forte, d’impatto.

sabato 12 marzo 2022

MATTEO STRUKUL: I Medici. Un uomo al potere


 

Firenze, 1469 Lorenzo de Medici sta vincendo il torneo in onore della sua sposa, Clarice Orsini, appena giunta a Firenze per le nozze con l’uomo che diventerà il Magnifico. Questo matrimonio non è un passo facile per Lorenzo: il suo cuore – ne è convinto – appartiene e sempre apparterrà a Lucrezia Donati, donne di straordinaria bellezza e fascino. Eppure asseconderà il volere della madre e rafforzerà l’alleanza con una potente famiglia romana. Chiamato a governare la città e ad accettare i costi e i compromessi della politica, divisa fra amore e potere, Lorenzo sottovaluta i formidabili avversari che stanno tramando contro di lui per strappargli la guida di Firenze. Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV, dopo aver sobillato Jacopo e Francesco dei Pazzi, storici nemici della famiglia de’ Medici, e stretto alleanza con Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, concepisce una congiura il cui esito per Lorenzo sarà terribile: il fratello Giuliano verrà brutalmente ucciso davanti ai suoi occhi. E da quel momento si aprirà un periodo di violenza e vendetta da cui in pochi si salveranno.

Secondo volume della saga che Matteo Strukul ha dedicato alla storia dei medici e che tanto successo ha avuto in tutto il mondo. Io non posso dire di aver particolarmente apprezzato i primi due volume.

Come si può facilmente intuire dal sottotitolo, protagonista di questo romanzo è un giovane Lorenzo il Magnifico che dovrà rinsaldare il suo potere sulla città di Firenze, a fronte di una forte opposizione. La sua vita privata è segnata da un amore impossibile per Lucrezia Donati e un matrimonio obbligato con Clarice Donati. Lorenzo manifesta già i suoi interessi artistici e filosofici che, in parte, lasciano perplessi i suoi concittadini e danno il destro  ai suoi nemici per attaccarlo. In particolare la sua amicizia con il chiacchierato Leonardo Da Vinci gli può causare non pochi problemi. Sullo sfondo si organizza la congiura dei Pazzi, quindi tra le pagine di questo romanzo troviamo anche Francesco de’ Pazzi e Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV. Nessuno di questi personaggi è abbastanza caratterizzato, nessuno di loro rivive davvero tra queste pagine. Io non ho assolutamente percepito la solitudine, i dubbi di Lorenzo; non ho percepito l’amicizia che lo legava a Leonardo; non ho trovato la disperazione dell’amore proibito.

Non apprezzo lo stile di questo autore (purtroppo ho comprato tutti i libri di questa saga e, a questo punto, mi sento obbligata a leggerli). Trovo che, per quanto affermi di avere come modello Dumas o, tra gli autori più recenti, Vassalli ed Eco, le sue opere non abbiano quella profondità, quella precisa ricostruzione del passato in tutti i suoi aspetti, quella caratterizzazione precisa e vivida dei personaggi. Lo trovo, invece, estremamente banale nella costruzione della trama, eccessivamente dedito alle scene di sesso, prive di giustificazione, per dare al lettore medio quel pizzico di brivido che si aspetta. Trovo, infine, del tutto inutili quelle sequenze didascaliche in cui vuole spiegare al suo lettore cosa sia stato il Rinascimento italiano. Non metto in dubbio che Strukul abbia condotto degli studi approfonditi per scrivere i suoi libri, ma il risultato non è adeguato allo sforzo.

sabato 19 febbraio 2022

TARA WESTOVER: L’educazione


 

Tara, la sorella Audrey e i fratelli Luke e Richard sono nati in una singolare famiglia mormona delle montagne dell’Idaho. Non sono stati registrati all’anagrafe, non sono mai andate a scuola, non sono mai stati visitati da un dottore. Sono cresciuti senza libri, senza sapere cosa succede nel mondo o cosa sia il passato. Fin da piccolissimi hanno aiutato i genitori nei loro lavori: in estate stufare le erbe per la madre ostetrica e guaritrice, in inverno lavorare nella discarica del padre, per recuperare metalli. Fino a diciassette anni Tara non aveva idea di cosa fosse l’Olocausto o l’attacco alle Torri gemelle. Con la sua famiglia si preparava alla sicura fine del mondo, accumulando lattine di pesche sciroppate e dormendo con uno zaino d’emergenza sempre a portata di mano. Il clima in casa era spesso pesante. Il padre è un uomo dostoevskiano, carismatico quanto folle e incosciente, fino a diventare pericoloso. Il fratello maggiore Shawn è chiaramente disturbato e diventa violento con le sorelle. La madre cerca di difenderle, ma rimane fedele alle sue credenze e alla sottomissione femminile prescritta. Poi Tara fa una scoperta: l’educazione. La possibilità di emanciparsi, di vivere una vita diversa, di diventare una persona diversa. Una rivelazione. Tara Westover dimostra una capacità  di introspezione che distingue i grandi scrittori, creando una storia universale di formazione che mira al cuore di ciò che l’educazione ha da offrire: la prospettiva di vedere la propria vita con occhi nuovi e la volontà di cambiarla.

Tara Westover è una giovane ricercatrice di Storia che ha scritto questo suo primo libro sulla sua storia personale.

Il personaggio principale è, naturalmente, Tara stessa che racconta la sua vita familiare da quando era bambina fino alla maturità. Attorno a lei ruota tutta la sua numerosa e stramba famiglia. Dal padre, mormone, convinto che la fine del mondo sarebbe stata imminente e che loro sarebbero stati gli eletti che si sarebbero salvati. È un padre decisamente tirannico, nonché, come si scoprirà nel tempo, affetto da sindrome bipolare che lo porta a fasi umorali diametralmente opposti. La madre, ogni tanto, mostra uno spiraglio di sensatezza che però viene risucchiata dall’imperiosità del marito. Infine c’è il fratello Shawn, un uomo violento che riversa sui fratelli la propria frustrazione.

I temi interessanti di questo libro sono davvero tanti. Si parte della cecità di questi genitori che non rivelano all’anagrafe i figli, non fanno frequentare loro la scuola, li sfruttano in lavori pericolosi. Nella loro cecità non credono nella scienza, né nella medicina, usano rimedi omeopatici anche per le ferite più gravi. Infine, il tema centrale, come si intuisce dal titolo, dell’educazione, unico mezzo di riscatto per la giovane Tara. Faceva tenerezza la giovane donna dell’Idaho, ignaro anche delle cose più banali, come il fatto che debba studiare il libro, non solo guardare le immagini fino ad arrivare a questioni ben più pesanti come l’Olocausto. Il suo percorso di emancipazione la costringerà a rompere definitivamente con una famiglia che definire disfunzionale è davvero poco.

L’autrice racconta in prima persona la sua storia quindi è inevitabile che abbia un tono in alcuni momenti accorato. Lei racconta con estrema precisione raccattando i suoi ricordi e facendo riaffiorare quanto aveva nel tempo diligentemente segnato sul suo diario. È stata molto brava a evidenziare quello stato d’animo sconfortato dal rifiuto e quella identità spezzata dall’abbandono della famiglia attraverso una scrittura che comunque rimane molto lucida.

KAREN MARIE MONING: Il bacio dell’Highlander

 

Stregato da un potente incantesimo, Drustan MacKeltar ha dormito per quasi cinque secoli nascosto nelle profondità di una grotta, fin quando un improbabile salvatore lo ha svegliato: una ragazza seducente come nessun’altra. Gwen Cassidy è venuta in Scozia per scuotere la sua vita monotona e forse incontrare un uomo. Come poteva sapere che cadere in un burrone l’avrebbe spedita tra le braccia dell’uomo più affascinante che avesse mai visto? Nel futuro del mondo di Drustan restano solo le rovine, e lui sa che deve tornare al passo se vuole salvare il suo popolo; ma per farlo ha bisogno di avere al suo fianco una donna unica. Legato a Drustan da una passione più forte del tempo, Gwen si trova nella Scozia del XVI secolo dove un nemico infido complotta contro di loro, al fianco di un guerriero in grado di cambiare la storia e sfidare ogni istante del tempo per la donna che ama.


sabato 5 febbraio 2022

MARY SHELLEY: Frankeinstein

Nel 1816 Lord Byron, durante una sera tempestosa nella sua villa a Ginevra, propone ai suoi ospiti – Mary e Percy Shelley, e William Polidori – di scrivere, per gioco, un racconto dell’orrore. Ricollegandosi al mito di Prometeo, Mary scriverà Frankeinstein. Una storia che è un groviglio etico, un ragionamento profondo sull’origine della vita: l’angosciante storia di uno scienziato che conduce macabri esperimenti nel tentativo di restituire la vita ai cadaveri. Una favola terribile capace di imporsi con la forza delle immagini e la sua autonomia di mito universale. Uno sconvolgente racconto dell’orrore in cui il mostro è più umano del suo creatore.

Mary Shelley non credo che abbia bisogno di grosse presentazioni. Vorrei invece sottolineare come l’autrice abbia scritto questo testo a soli 17 anni per una sorta di gioco letterario inventato da Byron  quando aveva lei, il marito e William Polidori ospiti a villa Diodati. La Shelley prende spunto dal mito di Prometeo, il titano ribelle.

Frankeinstein rappresenta la forza della ragione, del sapere scientifico, il desiderio di superare il limite della conoscenza, se esso esiste. Egli, addirittura, si spinge fino a creare la vita, cosa che nessuno aveva mai tentato di fare. L’esaltazione della creazione dura ben poco, fino a quando si trova di fronte alla creazione e si rende conto di aver creato un mostro. Da quel momento la sua coscienza è perseguitata dall’idea del mostro creato.

Dall’altra parte il mostro scatena nel lettore una duplice reazione: da una parte si prova ribrezzo per la sua violenza e la sua sete di vendetta, dall’altra parte si prova pena e tenerezza per il destino di solitudine a cui è condannato. Nessuno può andare oltre il suo aspetto fisico e percepire il desiderio di amore che lo anima. Questo lo induce a odiare il genere umano, anche perché si rende conto di non farne parte appieno.

Al di là di quello che può essere, secondo i critici, il tema che la Shelley voleva trasmettere, ossia la dipendenza del sapere scientifico della fede, unica portatrice della verità, secondo atmosfere e suggestioni romantiche presenti anche nel testo, io ci ho visto anche una riflessione sulla diversità e la capacità di accettazione e inclusione. Il mostro è condannato ad essere rifiutato a causa del suo aspetto esteriore. Nessuno è in grado di andare oltre. Quando il mostro parla liberamente, lascia intravedere la sua anima, anche se in teoria non ne ha, e il suo cuore. Poi però il suo istinto distruttore ha la meglio.

La struttura del racconto, che immaginiamo scritto in un periodo piuttosto breve, è abbastanza complessa. Abbiamo tre narratori interni che sono rispettivamente Mr Walton, l’esploratore, che crea una cornice alla storia, che incontra Mr Frankeinstein che gli racconta la sua storia e che gli riferisce anche il racconto del mostro. A questa struttura abbastanza complessa si accostano degli espedienti della trama piuttosto ingenua, a mio parere. Ad esempio, quando viene ucciso il giovane fratello del protagonista, per qualche motivo si deve pensare subito che il responsabile sia il mostro, dal momento che non si hanno sue notizie da tempo e non si può sapere dove si trova? Come questo ci possono essere altri esempi. Per il resto la scrittura è fluida, lineare, ben bilanciata, molto ben tradotta in maniera abbastanza contemporanea, pur mantenendo quel po’ di profumo di antico.

Non è certamente un libro che appartiene al mio genere preferito. Mi sono ripromessa di recuperare diversi classici e intanto l’ho fatto con questo. Mi ha appassionato e interessato a fasi alterne, ho preferito le scene in cui era protagonista il mostro e quelle in cui dovevo seguire le elucubrazione di Frankeinstein. L’aspetto horror, per  mia fortuna, è abbastanza limitato; c’è più che altro un’atmosfera inquieta.

 

sabato 29 gennaio 2022

LAINI TAYLOR: Il sognatore

 

È il sogno a scegliere il sognatore, e non il contrario. Lazlo Strange ne è sicuro, ma è anche assolutamente certo che il suo sogno sia destinato a non avverarsi mai. Orfano, allevato da monaci austeri che hanno cercato in tutti i modi di estirpare  dalla sua mente il germe della fantasia, il piccolo Lazlo sembra destinato a un’esistenza anonima. Eppure il bambino rimane affascinato dai racconti confusi di un monaco anziano, racconti che parlano della città perduta di Pianto, caduta nell’oblio da duecento anni: ma quale evento inimmaginabile e terribile ha cancellato questo luogo mitico della memoria del mondo? I segreti della città leggendaria si trasformano per Lazlo in un’ossessione. Una volta diventato bibliotecario, il ragazzo  alimenterà la sua sete di conoscenza con le storie contenute nei libri dimenticati della Grande Biblioteca, pur sapendo che il suo sogno più grande, ossia vedere la misteriosa Pianto con i propri occhi, rimarrà irrealizzato. Ma quando un eroe  straniero, chiamato il Massacratore degli Dei, e la sua delegazione di guerrieri si presentano alla biblioteca, per Strange il Sognatore si delinea l’opportunità di vivere un’avventura dalle premesse straordinarie. “Il sognatore”, primo capitolo della nuova duologia di Laini Taylor, già autrice dell’acclamata trilogia “La chimera di Praga”, non fa che confermare il grande talento narrativo.

Laini Taylor è un’autrice molto apprezzata nel mondo del fantasy, è uno di quei nomi che vengono unanimemente recensiti in maniera positiva.

La trama di questo libro è tipicamente quella di un fantasy con una missione da compiere in un mondo costruito con particolare abilità dall’autrice. Il protagonista, come si può intuire dal titolo, è Lazlo Strange, un giovane studioso e sognatore, il quale è stato trovato da bambino e cresciuto in un monastero dove ha potuto scoprire le meraviglie della biblioteca. E all’interno dei libri che lui tanto ama ha scoperto la storia della misteriosa città di Pianto. La sorte,  incarnata dalla figura del Massacratore degli Dei, gli consente di uscire dal mondo protettivo del convento e di partire per svolgere una missione, e quindi per lui conoscere, nella città di Pianto.

La protagonista femminile è Sarai, figlia della perfida dea Isagol ma scampata, insieme ad altri dei,  al massacro avvenuto 15 anni prima, quando gli uomini si sono ribellati al potere degli dei e li hanno uccisi. Sarai ha il dono di entrare nei sogni degli uomini ed è proprio lì che incontra il Sognatore. Ci sono tanti altri personaggi degni di nota, lo stesso Massacratore ma anche Myma.

Per me il tema centrale di questo libro è l’impossibilità di distinguere il bene dal male perché essi sono quasi sempre strettamente intrecciati. Questa consapevolezza finisce per tormentare quei personaggi che sono consapevoli di aver dovuto agire in un determinato modo perché costretti dalle circostanze. Tutto questo però viene in contrasto con quei personaggi che sono totalmente innocenti e portatori di valori positivi, ma comunque sono oberati da un senso di colpa e di inadeguatezza che deriva dal loro passato.

Io ho trovato lo stile dell’autrice veramente affascinante. Dall’abilità nel costruire il mondo fantasy e i personaggi sfaccettati; alla trama avvincente e misteriosa dal ritmo incalzante. Ho trovato lo spunto della trama dei due protagonisti che si trovano nei sogni davvero affascinante e particolarmente toccante perché dà il senso di un forte legame emotivo. La scrittura è davvero molto bella e ricca, emotivamente molto toccante.

Pur non essendo una grande estimatrice né esperta di fantasy, ho trovato in questo un buon libro, scritto bene, costruito bene nella trama, con un significato di fondo per nulla banale. Potrebbe essere una bella lettura da suggerire ai ragazzi.


sabato 22 gennaio 2022

TRACY CHEVALIER: Strane creature


 

È il 1811 a Lyme, un piccolo villaggio del Sussex, sulla costa meridionale inglese. Le stagioni si susseguono senza scosse in paese e il decoro britannico si sposa perfettamente con la tranquilla vita di una provincia all’inizio del diciannovesimo secolo. Un giorno, però, sbarcano nel villaggio le sorelle Philpot e la quiete è subito un pallido ricordo. Vengono da Londra, sono eleganti, vestite alla moda, sono bizzarre creature per gli abitanti di quel villaggio spazzato dal vento. Margaret, diciotto anni, riccioli neri e braccia ben tornite, sorprende costantemente tutti con i suoi turbanti verdolini sconosciuti alle ragazze di Lyme, che se ne vanno in giro ancora con grevi vestiti stile impero. Louise, meravigliosi occhi grigi e grandi mani, coltiva una passione per la botanica che è incomprensibile in quel piccolo mondo dove alle donne è dato solo di maritarsi e accudire i figli. Ma è soprattutto Elizabeth, la più grande delle Philpot, a costituire un’eccentrica figura in quel paesino sperduto sulla costa. Ha venticinque anni. Dovrebbe comportarsi come una sfortunata zitella per l’età che ha e l’aspetto severo che si ritrova, ma se ne va in giro con una persona orgogliosamente libera e istruita che non si cura affatto di civettare con gli uomini. In paese ha stretto amicizia con Mary Aming, la figlia dell’ebanista. Quand’era poco più che una poppante, Mary è stata colpita da un fulmine. La donna che la teneva tra le braccia e le due ragazze accanto a lei morirono, ma lei la scampò. Prima dell’incidente era una bimba quieta e malaticcia. Ora è una ragazza vivace e sveglia che passa il suo tempo sulla spiaggia di Lyme, dove dice di aver scoperto strane creature dalle ossa gigantesche, coccodrilli enormi vissuti migliaia di anni fa. Il reverendo Jones, un uomo con il volto squadrato, i capelli a spazzola e le labbra sottili che non stanno mai ferme, dice che le cose non possono stare in questo modo, perché sarebbe contrario alla Bibbia. Dio non può avere creato delle bestie così grandi per poi sbarazzarsene. Elizabeth Philpot però non solo presta fede alla ragazzina, ma la protegge anche dai cacciatori di fossili e dagli avventurieri che accorrono a frotte a Lyme. Tra questi anche l’affascinante colonnello Birch, un militare dritto e sicuro di sé dai bei capelli folti e neri, che infrange il cuore di Mary e suscita una morbosa, irresistibile attrazione nella maggiore delle Philpot. Basato sulla storia di Mary Aming, la ragazzina che a Lyme Bay portò alla luce il cranio del primo ittiosauro e rese così possibile quella svolta negli studi sull’evoluzione che trovò il suo coronamento nel 1859 con la pubblicazione dell’Origine della Specie di Darwin. Strane creature è una delle opere più riuscite di Tracy Chevalier: un’avvincente storia di donna che lottano contro le ottuse convenzioni di un’epoca per aprire la strada al progresso e alla conoscenza.

Tracy Chevalier è un’autrice di cui ho letto già diversi libri. Dal primo e notissimo La ragazza con l’orecchino di perla, davvero suggestivo a L’ultima fuggitiva a questo Strane creature. L’autrice parte quasi sempre da vicende o personaggi realmente esistiti, come in questo caso.

Questo è decisamente un romanzo al femminile. Le due protagoniste, nonché voci narranti che si alternano, sono la matura e benestante Elizabeth Philpot che ha una vera e strana passione per i fossili e dall’altra parte la popolana Mary Aming, colei che ha trovato il primo esemplare di ittiosauro e che quindi ha dato al la allo sviluppo degli studi e al successivo sviluppo delle teorie evoluzioniste di Darwin. Sono due personaggi vagamente austiniani in quanto, anche se vagheggiano un incontro sentimentale, alla fin fine scelgono di difendere la loro autonomia e indipendenza nonché la passione per lo studio.

I temi che la storia potrebbe suggerire sono vari e alcuni molto interessanti: dall’emancipazione femminile agli interrogativi di tipo scientifico ma anche teologici sulla storia della Terra e degli esseri viventi che l’hanno abitato. Questi temi restano, però, soltanto in superficie in quanto l’interesse prevalente dell’autrice è quello di raccontare la storia di due donne di cui la Storia ha ricordato ben poco ma che tanto merito hanno avuto nello sviluppo della ricerca scientifica, è un omaggio a loro.

Lo stile di Chevalier è sempre molto piacevole e scorrevole. In questo caso abbiamo due narratrici interne che si alternano e che ridanno voce a chi voce non ha avuto dalla Storia. Ciò che mi ha lasciato un po’ perplessa è che le due voci, quella di Elizabeth e quella di Mary, due donne profondamente diverse per educazione, origine, esperienza risultino così simili, poco differenziate.

Questo libro mi è piaciuto abbastanza, non mi ha affascinata come La ragazza con l’orecchino di perla, non l’ho trovato altrettanto suggestivo. Tuttavia è una lettura piacevole, con una trama abbastanza insolita e originale e con due figure femminili molto interessanti.

sabato 15 gennaio 2022

ANNE GRACIE: Il bacio perfetto

 

UNA MISSIONE DI ONESTA’, UNA RISPOSTA DI SEDUZIONE

Tre anni dopo il debutto in società, Grace Merridew si è ormai rassegnata: non troverà mai l’amore. Alla partenza per un lungo viaggio, vuole essere al fianco di un’amica che non riesce a colmare la distanza sentimentale con il futuro sposo. Dominic Wolfe, al quale le donne non sono mai mancate, è infatti interessato solo alla ricca dote di nozze. Cosa che Grace non esita a rinfacciargli. Una audacia che lui trova immediatamente stimolante. Desiderata da un uomo tanto sfrontato, saprà Grace resistere?


domenica 9 gennaio 2022

NATHANIEL HAWTHORNE: La lettera scarlatta


 

Pubblicato nel 1850, La lettera scarlatta è uno dei più importanti romanzi nordamericani dell’Ottocento. Nelle intenzioni dell’autore esso doveva rappresentare al meglio lo spirito puritano dell’epoca coloniale americana. Nella società puritana la libertà dell’individuo coincideva con il bene della comunità, che doveva essere purificata da ogni elemento estraneo, considerato al soldo di Satana. Per questa ragione le autorità imponevano stili di vita improntati a un inflessibile rigore morale. E chi infrangeva gravemente le regole poteva incorrere persino nella pena di morte. Nel libro, una giovane sposa, amante del pastore Arthur Dummesdale, manifesta fisicamente i segni della sua relazione extraconiugale con il predicatore. Nulla riesce a farla confessare, nemmeno le minacce, e per questo viene schivata da tutti, e infine condannata a portare sul petto una fiammante lettera A, che la additi allo sguardo pubblico come un’adultera. Intorno a questa vicenda si dipana il progressivo insinuarsi nei personaggi di un tormentato lavorio psichico, che li spingerà, in taluni casi, sull’orlo della pazzia. Il libro è stato fonte di ispirazione per numerose trasposizioni cinematografiche.

Hawthorne è uno dei grandi maestri della letteratura americana. Ha una produzione letteraria molto ampia ma io di lui conosco solo questo libro che avevo letto tantissimi anni fa e che ho avuto modo di riprendere.

La vicenda ruota attorno alle vicende di una piccola comunità di puritani nel New England, intorno alla metà del XVII secolo. La vicenda ha una precisa ricostruzione storica di un mondo che era regolato in modo talmente rigido e con una precisa severità nei confronti di coloro che contravvenivano a queste norme. Hester Prynne ha commesso il gravissimo errore di avere una relazione extraconiugale, che ha dato come frutto una bambina. Per questo motivo è condannata a tenere una lettera scarlatta A sul petto che lei ha prontamente realizzato con un civettuolo regalo. Secondo me, Hester è un personaggio che giganteggia su tutti gli altri. Nonostante venga additata come peccatrice lei passa davanti a tutti a testa alta, anche se è vero che lei accetta il comune sentire addossandosi il peso del peccato, ma sa sopravvivere al biasimo generale. Dall’altra parte, il pastore Arthur Dimmesdale, a mio parere, non riesce a starle alla pari. Innanzitutto si capisce da subito che lui è il responsabile della caduta di Hester. Al di là della tenerezza che passono suscitare i suoi sentimenti sinceri, la sua codardia non può far altro che suscitare il biasimo del lettore. Il terzo lato del triangolo è dato dal dr Chillingworth che nasconde l’identità del vero marito di Hester. Lui rappresenta questa forza oscura e demoniaca, avrebbero detto i puritani del ‘600, che scava un baratro nel cuore del pastore. Infine c’è la piccola Pearl, la bambina elfo, che, a mio parere, rappresenta la libertà, quella forza vitale che sopravvive a tutte le catene che la società impone.

Naturalmente il tema fondamentale è una critica lucida e consapevole della società americana delle origini che, inevitabilmente, ha conseguenze nella società del tempo di Hawthorne. Questi integerrimi puritani bravi a puntare continuamente il dito e che non vede l’assurdità delle proprie superstizioni. Hawthorne, evidentemente figlio dell’illuminismo e del positivismo, non può far altro che ridere amaramente dei suoi antenati e non solo. Ma soprattutto questi integerrimi cittadini mostrano l’incapacità di accettare l’altro, il diverso.

La scrittura di Hawthorne è indubbiamente ricca e complessa. In essa predomina il tono ironico e l’uso della metafora continuata e prolungata. È un testo in cui predominano le sequenze riflessive e necessita di una grande concentrazione.

Non è un caso che questo testo sia un classico della letteratura americana. Si inscrive nella tradizione dei romanzi storici in cui l’autore afferma di aver trovato un manoscritto con questa storia. Una storia che appartiene al XVII secolo, ma che Hawthorne riusciva a riferire al suo tempo e che, forse, noi dovremmo immaginare come applicabile alla società americana, e non solo, dei nostri giorni.