Nel
1816 Lord Byron, durante una sera tempestosa nella sua villa a Ginevra, propone
ai suoi ospiti – Mary e Percy Shelley, e William Polidori – di scrivere, per
gioco, un racconto dell’orrore. Ricollegandosi al mito di Prometeo, Mary
scriverà Frankeinstein. Una storia che è un groviglio etico, un ragionamento
profondo sull’origine della vita: l’angosciante storia di uno scienziato che
conduce macabri esperimenti nel tentativo di restituire la vita ai cadaveri. Una
favola terribile capace di imporsi con la forza delle immagini e la sua
autonomia di mito universale. Uno sconvolgente racconto dell’orrore in cui il
mostro è più umano del suo creatore.
Mary
Shelley non credo che abbia bisogno di grosse presentazioni. Vorrei invece
sottolineare come l’autrice abbia scritto questo testo a soli 17 anni per una
sorta di gioco letterario inventato da Byron quando aveva lei, il marito e William Polidori
ospiti a villa Diodati. La Shelley prende spunto dal mito di Prometeo, il
titano ribelle.
Frankeinstein
rappresenta la forza della ragione, del sapere scientifico, il desiderio di
superare il limite della conoscenza, se esso esiste. Egli, addirittura, si
spinge fino a creare la vita, cosa che nessuno aveva mai tentato di fare. L’esaltazione
della creazione dura ben poco, fino a quando si trova di fronte alla creazione
e si rende conto di aver creato un mostro. Da quel momento la sua coscienza è
perseguitata dall’idea del mostro creato.
Dall’altra
parte il mostro scatena nel lettore una duplice reazione: da una parte si prova
ribrezzo per la sua violenza e la sua sete di vendetta, dall’altra parte si
prova pena e tenerezza per il destino di solitudine a cui è condannato. Nessuno
può andare oltre il suo aspetto fisico e percepire il desiderio di amore che lo
anima. Questo lo induce a odiare il genere umano, anche perché si rende conto
di non farne parte appieno.
Al
di là di quello che può essere, secondo i critici, il tema che la Shelley voleva
trasmettere, ossia la dipendenza del sapere scientifico della fede, unica
portatrice della verità, secondo atmosfere e suggestioni romantiche presenti
anche nel testo, io ci ho visto anche una riflessione sulla diversità e la
capacità di accettazione e inclusione. Il mostro è condannato ad essere
rifiutato a causa del suo aspetto esteriore. Nessuno è in grado di andare
oltre. Quando il mostro parla liberamente, lascia intravedere la sua anima,
anche se in teoria non ne ha, e il suo cuore. Poi però il suo istinto distruttore
ha la meglio.
La
struttura del racconto, che immaginiamo scritto in un periodo piuttosto breve,
è abbastanza complessa. Abbiamo tre narratori interni che sono rispettivamente
Mr Walton, l’esploratore, che crea una cornice alla storia, che incontra Mr
Frankeinstein che gli racconta la sua storia e che gli riferisce anche il
racconto del mostro. A questa struttura abbastanza complessa si accostano degli
espedienti della trama piuttosto ingenua, a mio parere. Ad esempio, quando
viene ucciso il giovane fratello del protagonista, per qualche motivo si deve
pensare subito che il responsabile sia il mostro, dal momento che non si hanno
sue notizie da tempo e non si può sapere dove si trova? Come questo ci possono
essere altri esempi. Per il resto la scrittura è fluida, lineare, ben
bilanciata, molto ben tradotta in maniera abbastanza contemporanea, pur
mantenendo quel po’ di profumo di antico.
Non
è certamente un libro che appartiene al mio genere preferito. Mi sono
ripromessa di recuperare diversi classici e intanto l’ho fatto con questo. Mi ha
appassionato e interessato a fasi alterne, ho preferito le scene in cui era
protagonista il mostro e quelle in cui dovevo seguire le elucubrazione di
Frankeinstein. L’aspetto horror, per mia
fortuna, è abbastanza limitato; c’è più che altro un’atmosfera inquieta.
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