sabato 18 dicembre 2021

JONATHAN COE: L’amore non guasta


 

Si direbbe che per Jonathan Coe il momento in cui si decide il destino di un individuo non sono i primi anni di vita, come suggerisce la psicoanalisi, ma quella sconfinata adolescenza e quel perpetuo fuoricorso che cominciano subito dopo aver lasciato il liceo e la famiglia e che corrispondono al vegetare dentro il calore debole ma protettivo di un’università di provincia, seguendo la trafila delle sessioni, degli esami, della laurea, di una tesi di dottorato sempre da scrivere e mai scritta. Robin si è laureato a Cambridge ma da oltre quattro anni sta preparando il dottorato a Coventry, cittadina rasa al suolo due volte, prima dalle bombe tedesche poi dall’ultra liberismo della signora Tatcher. Un male oscuro sembra consumarlo, forse il ricordo di un amore lontano e mai dichiarato che lo tortura come il primo giorno. Intorno a questo “male” e alla misteriosa tesi di dottorato di cui nessuno ha visto una riga, monta un clima di catastrofe imminente. Basterebbe un “tocco d’amore”, forse. Forse l’amore non guasterebbe. Ma è proprio lì che Robin si scopre muta, impotente. Jonathan Coe tesse in questo suo secondo romanzo i primi fili di quell’immensa tela che sarà La famiglia Winshaw.

Jonathan Coe è un autore inglese molto prolifico, di cui mi avevano parlato molto bene, ma di cui non credo che leggerò altro.

Faccio fatica a spiegare questo libro perché ha una struttura molto particolare, con una trama centrale ma frammentata e gli inserti dei racconti di quello che è il protagonista (probabilmente) anche se non il personaggio principale. La trama si sviluppa con una serie di quadretti che servono a descrivere ed interpretare alcuni momenti fondamentali di Robin, un giovane depresso, inetto, che trascina avanti i suoi giorni, senza trovare uno scopo per portarla avanti, senza trovare persone con cui condividere realmente la propria esistenza. Robin ha un rapporto poco risolto soprattutto con l’altro sesso, non ha la capacità di costruire dei rapporti. Attorno a lui ruota una serie di personaggi che non lo conoscono realmente, forse perché lui non si è saputo rivelare. Questi personaggi, a loro volta, vivono dei rapporti frustrati e hanno delle vite poco “vere”.

In questo libro ho trovato soprattutto il tema dell’alienazione del mondo moderno. L’ambiente universitario, ad esempio, è abitato da uomini frustrati, poco realizzati, che nascondono i loro fallimenti anche a loro stessi, che non sono in grado di costruire rapporti realmente umani. L’unico a rendersi conto di tutto questo è Robin, ma questo avrà su di lui conseguenze inevitabili. E lui con il suo esempio e la sua scrittura lascerà un segno indelebile sugli altri.

Inutile negare che lo stile non mi è piaciuto affatto. La struttura dell’opera, frammentata e inframmezzata, mi ha abbastanza distratta. Così come il fatto che non esista una vera e propria trama, ma una serie di scene e di situazioni. L’azione è pressoché assente, prevalgono i dialoghi che sono piuttosto cerebrali, alla lunga mi stancavano tutte queste riflessioni sui rapporti umani.

Non mi è piaciuto. Nonostante sia un romanzo breve, ho fatto una enorme fatica a finirlo, proprio perché mi stancavo piuttosto facilmente nel seguire le elucubrazioni dell’autore e dei suoi personaggi.

sabato 11 dicembre 2021

KAREN MARIE MONING: Highlander. L’ultimo dei templari

 

Nel Quattordicesimo secolo l’Ordine dei Templari viene messo al bando; i suoi cavalieri, perseguitati in tutta Europa, vengono accolti in Scozia, in grande segretezza. Circenn Brodie è uno di loro, un guerriero immortale, custode delle reliquie sacre dell’Ordine e di una boccetta dal contenuto magico, appartenente al popolo delle fate. Il suo è un mondo retto da formule magiche e regole antichissime. Quando Lisa Stone viene catapultato dai giorni nostri in un castello medievale, tra le braccia dell’affascinante guerriero, la sua vita sembra crollare in un istante. Sarà un sogno o un terribile scherzo del destino? Nessuno dei due è pronto a questo incontro, ma nulla potranno contro la magia che sta per travolgerli.


domenica 5 dicembre 2021

YU HUA Il settimo giorno

Yang Fei esce di casa una mattina e trova una nebbia fitta mista a una strana neve luminosa: è in ritardo per la sua cremazione. Inizia così il viaggio nell’Aldilà di un uomo vissuto, troppo brevemente, nella Cina del capitalismo socialista e delle sue aberranti contraddizioni. In un’avventura di sette giorni, il protagonista incontrerà persone care smarrite da tempo, imparando nuove cose di loro e di se stesso. Conoscenti e sconosciuti gli racconteranno, poi, la propria storia nell’inferno vero, l’Aldiquà: demolizioni forzate, corruzioni, tangenti, feti buttati nel fiume come rifiuti, miriadi di poveracci che pullulano in bunker sotterranei come formiche, traffico di organi, consumismo sfrenato… La morte livella finalmente le diseguaglianze, svelando l’essenziale, e i cittadini di questa necropoli soave uscita dalla penna di Yu Hua ci insegnano tutta la semplicità dell’amore.

Yu Hua è un interprete della Cina moderna e della sua evoluzione negli ultimi decenni. Dopo aver letto Brithers: la saga, da molti ritenuto il suo lavoro più importante, ho avuto la curiosità di leggere altro di suo.

Questo libro ha una trama più esile, ma allo stesso modo dell’altro libro che ho letto, pullula di personaggi dei quali l’autore sa darci delle pennellate destinate ad imprimersi nella memoria del lettore. Yan Fei, che è il protagonista, muore all’improvviso e, anche a causa della sua povertà, è destinato a non avere sepoltura. Come tutti i morti nella sua stessa condizione si ritrova come in un grande giardino (che mi ha un po’ ricordato i Campi Elisi di classica memoria). Qui Yang Fei incrocia persone la cui vita si era intrecciata con la sua, dalla ex moglie ai vicini di casa e tutti gli spiegano le ragioni del loro trovarsi lì. Molti di questi personaggi hanno avuto una morte violenta, in alcuni casi accidentale, e comunque hanno affrontato una morte che ha dato fine a una vita molto dolorosa.

Naturalmente, il tema centrale è quello della morte. Yang Fei e i suoi compagni di avventura sono come smarriti di trovarsi nell’Aldilà, visto che la maggior parte di loro è morta in circostanze accidentali. Lo stesso stupore nasce anche dal guardarsi intorno e trovarsi in una realtà assolutamente piacevole. Se quindi rimpiangono i cari che hanno lasciato sulla Terra (straziante l’episodio di una coppia uccisa in seguito alla demolizione della loro casa, che non sa cosa ne è stato della loro bambina), ma non rimpiangono la loro vita. Proprio perché ci troviamo di fronte ad anime di persone che non si sono potuti permettere una cerimonia funebre, questo mondo è  abitato da derelitti che ci raccontano come le trasformazioni della Cina moderna abbiano creato un substrato di sconfitti, un mondo di violenza, di sopraffazione e di enormi disparità. Ritorna quindi la denuncia di Yu Hua rispetto allo sviluppo economico del suo paese.

Lo stile di Yu Hua è estremamente narrativo, veloce, fa un ampio uso di dialoghi ed è estremamente vivo. In questo caso abbiamo la voce narrante, che è quella del protagonista. Il tono, ancora una volta per questo autore, è un continuo saltare da un tono serio, quasi lirico, ad affermazioni paradossali, anche se le situazioni sono meno comiche rispetto a quanto visto in Brothers. Molto più che nell’altro libro, ho trovato in questo un tono malinconico di una persona che ha capito che il vero inferno si trova in realtà in questo mondo.

Anche questo libro mi è piaciuto molto, ho ritrovato gli stessi temi dell’altro libro, anche se con una voce leggermente diversa. Ho ritrovato un autore estremamente originale nel raccontare la sua realtà. Attraverso lui sto imparando anche a conoscere la sensibilità di un popolo, quello cinese, molto lontano dalla mia. Conto di leggere altri suoi libri.