Si
direbbe che per Jonathan Coe il momento in cui si decide il destino di un
individuo non sono i primi anni di vita, come suggerisce la psicoanalisi, ma
quella sconfinata adolescenza e quel perpetuo fuoricorso che cominciano subito
dopo aver lasciato il liceo e la famiglia e che corrispondono al vegetare
dentro il calore debole ma protettivo di un’università di provincia, seguendo
la trafila delle sessioni, degli esami, della laurea, di una tesi di dottorato
sempre da scrivere e mai scritta. Robin si è laureato a Cambridge ma da oltre
quattro anni sta preparando il dottorato a Coventry, cittadina rasa al suolo
due volte, prima dalle bombe tedesche poi dall’ultra liberismo della signora
Tatcher. Un male oscuro sembra consumarlo, forse il ricordo di un amore lontano
e mai dichiarato che lo tortura come il primo giorno. Intorno a questo “male” e
alla misteriosa tesi di dottorato di cui nessuno ha visto una riga, monta un
clima di catastrofe imminente. Basterebbe un “tocco d’amore”, forse. Forse l’amore
non guasterebbe. Ma è proprio lì che Robin si scopre muta, impotente. Jonathan Coe
tesse in questo suo secondo romanzo i primi fili di quell’immensa tela che sarà
La famiglia Winshaw.
Jonathan
Coe è un autore inglese molto prolifico, di cui mi avevano parlato molto bene,
ma di cui non credo che leggerò altro.
Faccio
fatica a spiegare questo libro perché ha una struttura molto particolare, con
una trama centrale ma frammentata e gli inserti dei racconti di quello che è il
protagonista (probabilmente) anche se non il personaggio principale. La trama
si sviluppa con una serie di quadretti che servono a descrivere ed interpretare
alcuni momenti fondamentali di Robin, un giovane depresso, inetto, che trascina
avanti i suoi giorni, senza trovare uno scopo per portarla avanti, senza
trovare persone con cui condividere realmente la propria esistenza. Robin ha un
rapporto poco risolto soprattutto con l’altro sesso, non ha la capacità di
costruire dei rapporti. Attorno a lui ruota una serie di personaggi che non lo
conoscono realmente, forse perché lui non si è saputo rivelare. Questi personaggi,
a loro volta, vivono dei rapporti frustrati e hanno delle vite poco “vere”.
In
questo libro ho trovato soprattutto il tema dell’alienazione del mondo moderno.
L’ambiente universitario, ad esempio, è abitato da uomini frustrati, poco
realizzati, che nascondono i loro fallimenti anche a loro stessi, che non sono
in grado di costruire rapporti realmente umani. L’unico a rendersi conto di
tutto questo è Robin, ma questo avrà su di lui conseguenze inevitabili. E lui
con il suo esempio e la sua scrittura lascerà un segno indelebile sugli altri.
Inutile
negare che lo stile non mi è piaciuto affatto. La struttura dell’opera,
frammentata e inframmezzata, mi ha abbastanza distratta. Così come il fatto che
non esista una vera e propria trama, ma una serie di scene e di situazioni. L’azione
è pressoché assente, prevalgono i dialoghi che sono piuttosto cerebrali, alla
lunga mi stancavano tutte queste riflessioni sui rapporti umani.
Non
mi è piaciuto. Nonostante sia un romanzo breve, ho fatto una enorme fatica a
finirlo, proprio perché mi stancavo piuttosto facilmente nel seguire le
elucubrazioni dell’autore e dei suoi personaggi.
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