È
il 1811 a Lyme, un piccolo villaggio del Sussex, sulla costa meridionale
inglese. Le stagioni si susseguono senza scosse in paese e il decoro britannico
si sposa perfettamente con la tranquilla vita di una provincia all’inizio del
diciannovesimo secolo. Un giorno, però, sbarcano nel villaggio le sorelle
Philpot e la quiete è subito un pallido ricordo. Vengono da Londra, sono
eleganti, vestite alla moda, sono bizzarre creature per gli abitanti di quel
villaggio spazzato dal vento. Margaret, diciotto anni, riccioli neri e braccia
ben tornite, sorprende costantemente tutti con i suoi turbanti verdolini
sconosciuti alle ragazze di Lyme, che se ne vanno in giro ancora con grevi
vestiti stile impero. Louise, meravigliosi occhi grigi e grandi mani, coltiva
una passione per la botanica che è incomprensibile in quel piccolo mondo dove
alle donne è dato solo di maritarsi e accudire i figli. Ma è soprattutto
Elizabeth, la più grande delle Philpot, a costituire un’eccentrica figura in
quel paesino sperduto sulla costa. Ha venticinque anni. Dovrebbe comportarsi
come una sfortunata zitella per l’età che ha e l’aspetto severo che si ritrova,
ma se ne va in giro con una persona orgogliosamente libera e istruita che non
si cura affatto di civettare con gli uomini. In paese ha stretto amicizia con
Mary Aming, la figlia dell’ebanista. Quand’era poco più che una poppante, Mary
è stata colpita da un fulmine. La donna che la teneva tra le braccia e le due
ragazze accanto a lei morirono, ma lei la scampò. Prima dell’incidente era una
bimba quieta e malaticcia. Ora è una ragazza vivace e sveglia che passa il suo
tempo sulla spiaggia di Lyme, dove dice di aver scoperto strane creature dalle
ossa gigantesche, coccodrilli enormi vissuti migliaia di anni fa. Il reverendo
Jones, un uomo con il volto squadrato, i capelli a spazzola e le labbra sottili
che non stanno mai ferme, dice che le cose non possono stare in questo modo,
perché sarebbe contrario alla Bibbia. Dio non può avere creato delle bestie
così grandi per poi sbarazzarsene. Elizabeth Philpot però non solo presta fede
alla ragazzina, ma la protegge anche dai cacciatori di fossili e dagli
avventurieri che accorrono a frotte a Lyme. Tra questi anche l’affascinante
colonnello Birch, un militare dritto e sicuro di sé dai bei capelli folti e
neri, che infrange il cuore di Mary e suscita una morbosa, irresistibile
attrazione nella maggiore delle Philpot. Basato sulla storia di Mary Aming, la
ragazzina che a Lyme Bay portò alla luce il cranio del primo ittiosauro e rese
così possibile quella svolta negli studi sull’evoluzione che trovò il suo
coronamento nel 1859 con la pubblicazione dell’Origine della Specie di Darwin. Strane
creature è una delle opere più riuscite di Tracy Chevalier: un’avvincente
storia di donna che lottano contro le ottuse convenzioni di un’epoca per aprire
la strada al progresso e alla conoscenza.
Tracy
Chevalier è un’autrice di cui ho letto già diversi libri. Dal primo e notissimo
La ragazza con l’orecchino di perla, davvero suggestivo a L’ultima
fuggitiva a questo Strane creature. L’autrice parte quasi sempre da
vicende o personaggi realmente esistiti, come in questo caso.
Questo
è decisamente un romanzo al femminile. Le due protagoniste, nonché voci
narranti che si alternano, sono la matura e benestante Elizabeth Philpot che ha
una vera e strana passione per i fossili e dall’altra parte la popolana Mary
Aming, colei che ha trovato il primo esemplare di ittiosauro e che quindi ha
dato al la allo sviluppo degli studi e al successivo sviluppo delle teorie
evoluzioniste di Darwin. Sono due personaggi vagamente austiniani in quanto,
anche se vagheggiano un incontro sentimentale, alla fin fine scelgono di
difendere la loro autonomia e indipendenza nonché la passione per lo studio.
I
temi che la storia potrebbe suggerire sono vari e alcuni molto interessanti:
dall’emancipazione femminile agli interrogativi di tipo scientifico ma anche
teologici sulla storia della Terra e degli esseri viventi che l’hanno abitato. Questi
temi restano, però, soltanto in superficie in quanto l’interesse prevalente
dell’autrice è quello di raccontare la storia di due donne di cui la Storia ha
ricordato ben poco ma che tanto merito hanno avuto nello sviluppo della ricerca
scientifica, è un omaggio a loro.
Lo
stile di Chevalier è sempre molto piacevole e scorrevole. In questo caso
abbiamo due narratrici interne che si alternano e che ridanno voce a chi voce
non ha avuto dalla Storia. Ciò che mi ha lasciato un po’ perplessa è che le due
voci, quella di Elizabeth e quella di Mary, due donne profondamente diverse per
educazione, origine, esperienza risultino così simili, poco differenziate.
Questo
libro mi è piaciuto abbastanza, non mi ha affascinata come La ragazza con l’orecchino
di perla, non l’ho trovato altrettanto suggestivo. Tuttavia è una lettura
piacevole, con una trama abbastanza insolita e originale e con due figure
femminili molto interessanti.
Nessun commento:
Posta un commento