Ma
perché mai, dopo tanti anni passati in continente, Carmine Pullana era tornato
al paese? Per sapere, finalmente, la verità. Per cercare le tessere che
mancavano al mosaico della sua vita, e morire in pace. Per scoprire,
innanzitutto, che cosa era accaduto la notte in cui negli stagni davanti a
Baraule era stato trovato il corpo straziato di Sidara Molas e nella rete di Martine Rojas, noto Polifemo,
era rimasta impigliata quella “cosa informe che sembrava un coniglio scuoiato,
una spugna rossa inzuppata di sangue”, e invece era un neonato, “un innocente
che non aveva neanche la forza di piangere”. Martine l’aveva messo ad asciugare
pancia al sole dentro il berretto, e la creatura aveva ripreso a respirare. “Questo
è uno che non vuole morire” aveva pensato il pescatore. “Qualcuno lo ha
rispedito indietro dall’inferno”. Lo aveva portato a sua sorella Battistina,
che lo aveva battezzato con l’acqua del pozzo. Carmine, Carminieddu, un angelo
venuto dal mare: questo era per loro. Poi però Martine l’aveva venduto ad un
proprietario barbaricino che aveva la moglie “vurvi arriunciuma”, e Battistina
era morta dal dolore. Quelli lo avevano fatto crescere da signore, lo avevano
fatto studiare, e Carmine era andato all’università ed era diventato chirurgo –
anzi, era diventato “il salvatore dei bambini col cuore guasto”. Ma sempre, per
tutti quegli anni, aveva rivolto a Dio la stessa tormentosa e dolente
richiesta: di fargli scoprire un giorno il nome di suo padre e di sua madre. E adesso
che dentro il petto aveva quel “cane che gli addentava i polmoni”, e quando
tossiva sputava sangue – adesso era arrivato il momento di sapere.
Salvatore
Niffoi è un autore sardo, originario della provincia di Nuoro, passato agli
onori per aver scritto “La vedova scalza”, vincitore del Premio Campiello del
2006. Io personalmente ne ho perso poi le tracce. Questo libro stazionava sulla
mia libreria da parecchio tempo e, finalmente, mi sono decisa a leggerlo.
Il
protagonista è Carmine Pullana, un famoso cardiochirurgo che torna nella sua
terra natale per scoprire qualcosa delle sue origini, dal momento che, fin da
bambino, gli è stato detto di essere stato adottato e che le sue origini vanno
ricondotte a un evento sanguinoso e misterioso che ha macchiato la storia di
Baraule.
Tutti
gli altri personaggi, che poi sono i vari testimoni della sua storia che
Carmine va a interrogare sono figure di contorno che mettono insieme il puzzle
della sua vicenda. Ognuno di loro ha una storia, dolorosa, alle spalle e una
sua caratterizzazione che, seppure abbozzata è piuttosto ben delineata.
Il
tema predominante è quello del ritorno alle proprie origini: una realtà
primitiva, violenta, misteriosa e magica che il protagonista sembrava aver
appositamente abbandonato per costruirsi una vita altrove, una carriera di
rispetto, un’esistenza brillante. Invece, nel momento in cui si approssima per
lui la morte, Carmine torna a Baraule perché vuole scoprire la verità, secondo
tema del libro. Ma è possibile in una realtà atavica come quella descritta dall’autore
in cui realtà, sogno e magia si intrecciano, scoprire la verità?
Lo
stile è ciò che mi ha messo più in difficoltà. Non tanto il fatto che la trama
si sviluppi dall’intreccio di più voci (che poi sembrano sempre la stessa),
quanto per la crudezza e la violenza di queste voci, il riferimento costante a
una realtà dura e violenta. L’intreccio linguistico creato dall’autore, una
mescolanza di sardo (non so bene di quale zona) e di italiano non ha certo
aiutato la lettura.
Era
questo il primo libro che leggevo di Niffoi. Mi resta la curiosità di leggere “La
vedova scalza” in quanto vincitore del Campiello, per il resto penso che andrò
oltre questo autore.
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