sabato 4 settembre 2021

SALVATORE NIFFOI. Ritorno a Baraule

 

Ma perché mai, dopo tanti anni passati in continente, Carmine Pullana era tornato al paese? Per sapere, finalmente, la verità. Per cercare le tessere che mancavano al mosaico della sua vita, e morire in pace. Per scoprire, innanzitutto, che cosa era accaduto la notte in cui negli stagni davanti a Baraule era stato trovato il corpo straziato di Sidara Molas  e nella rete di Martine Rojas, noto Polifemo, era rimasta impigliata quella “cosa informe che sembrava un coniglio scuoiato, una spugna rossa inzuppata di sangue”, e invece era un neonato, “un innocente che non aveva neanche la forza di piangere”. Martine l’aveva messo ad asciugare pancia al sole dentro il berretto, e la creatura aveva ripreso a respirare. “Questo è uno che non vuole morire” aveva pensato il pescatore. “Qualcuno lo ha rispedito indietro dall’inferno”. Lo aveva portato a sua sorella Battistina, che lo aveva battezzato con l’acqua del pozzo. Carmine, Carminieddu, un angelo venuto dal mare: questo era per loro. Poi però Martine l’aveva venduto ad un proprietario barbaricino che aveva la moglie “vurvi arriunciuma”, e Battistina era morta dal dolore. Quelli lo avevano fatto crescere da signore, lo avevano fatto studiare, e Carmine era andato all’università ed era diventato chirurgo – anzi, era diventato “il salvatore dei bambini col cuore guasto”. Ma sempre, per tutti quegli anni, aveva rivolto a Dio la stessa tormentosa e dolente richiesta: di fargli scoprire un giorno il nome di suo padre e di sua madre. E adesso che dentro il petto aveva quel “cane che gli addentava i polmoni”, e quando tossiva sputava sangue – adesso era arrivato il momento di sapere.

Salvatore Niffoi è un autore sardo, originario della provincia di Nuoro, passato agli onori per aver scritto “La vedova scalza”, vincitore del Premio Campiello del 2006. Io personalmente ne ho perso poi le tracce. Questo libro stazionava sulla mia libreria da parecchio tempo e, finalmente, mi sono decisa a leggerlo.

Il protagonista è Carmine Pullana, un famoso cardiochirurgo che torna nella sua terra natale per scoprire qualcosa delle sue origini, dal momento che, fin da bambino, gli è stato detto di essere stato adottato e che le sue origini vanno ricondotte a un evento sanguinoso e misterioso che ha macchiato la storia di Baraule.

Tutti gli altri personaggi, che poi sono i vari testimoni della sua storia che Carmine va a interrogare sono figure di contorno che mettono insieme il puzzle della sua vicenda. Ognuno di loro ha una storia, dolorosa, alle spalle e una sua caratterizzazione che, seppure abbozzata è piuttosto ben delineata.

Il tema predominante è quello del ritorno alle proprie origini: una realtà primitiva, violenta, misteriosa e magica che il protagonista sembrava aver appositamente abbandonato per costruirsi una vita altrove, una carriera di rispetto, un’esistenza brillante. Invece, nel momento in cui si approssima per lui la morte, Carmine torna a Baraule perché vuole scoprire la verità, secondo tema del libro. Ma è possibile in una realtà atavica come quella descritta dall’autore in cui realtà, sogno e magia si intrecciano, scoprire la verità?

Lo stile è ciò che mi ha messo più in difficoltà. Non tanto il fatto che la trama si sviluppi dall’intreccio di più voci (che poi sembrano sempre la stessa), quanto per la crudezza e la violenza di queste voci, il riferimento costante a una realtà dura e violenta. L’intreccio linguistico creato dall’autore, una mescolanza di sardo (non so bene di quale zona) e di italiano non ha certo aiutato la lettura.

Era questo il primo libro che leggevo di Niffoi. Mi resta la curiosità di leggere “La vedova scalza” in quanto vincitore del Campiello, per il resto penso che andrò oltre questo autore.


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