sabato 25 settembre 2021

SYLVIA DAY: Nel profondo di te

 

Dal primo momento in cui Eva Tramell ha incontrato Gideon Cross, si è resa conto che in lui c’era qualcosa di cui aveva un tremendo bisogno. Qualcosa a cui non poteva resistere e che la attraeva visceralmente.

Travolti da una passione che li ha infiammati fin da subito, Eva e Gideon hanno scambiato per lussuria la potentissima corrente elettrica che si è sviluppata tra loro, finché si sono resi conto di non poter più respirare l’uno senza l’altra.

Entrambi, però, hanno alle spalle vicende difficili e dolorose che continuano inesorabilmente a bussare alle porte del loro presente…

Nel terzo capitolo della “Crossfire Series”, Eva e Gideon dovranno affrontare i fantasmi del loro passato e lei, in particolare, dovrà fare i conti con l’imprevedibile comportamento di Gideon: solo Eva sa quanto lui abbia rischiato per tenere in vita il loro rapporto e quanto anche lui abbia bisogno di lei. Uniti dai loro segreti, cercheranno di superare gli ostacoli, accettando le conseguenze della loro relazione ossessiva e arrendendosi completamente alla sublime forza del piacere…

Dopo l’incredibile successo di A nudo per te e Riflessi di te, Sylvia Day torna ad accendere la nostra fantasia con il terzo attesissimo romanzo della serie che sta facendo impazzire le lettrici e i lettori di tutto il mondo.

Intensamente romantico, dannatamente sensuale, Nel profondo di te non ci spingerà soltanto fino al limite dell’ossessione, ma molto oltre.


sabato 18 settembre 2021

SILVIA AVALLONE: Acciaio


 Che genere di visione del mondo ti fai in un posto dove è normale non andare in vacanza, non andare al cinema, non sapere niente del mondo, non leggere libri, e va bene così? Loro due, in questo posto, si erano trovate e scelte.

Giovane autrice piemontese, laureata a Bologna. Silvia Avallone con questo testo ha vinto il Premio Campiello Opera Prima ed è stata finalista al Premio Strega. Non ha ancora molti romanzi al suo attivo. Questo è il suo primo romanzo che leggo e, al momento, non ho particolare voglia di approfondire la conoscenza.

Tutto ruota attorno ai quartieri popolari di Piombino, dove l’unica prospettiva è quella di lavorare nell’acciaieria Lucchini e dove la vita va avanti tra frustrazioni e scarse probabilità  di cambiare le proprie sorti. Al centro della trama c’è l’amicizia tra Francesca e Anna, due giovanissime e bellissime adolescenti che vivono la scoperta del mondo che li circonda, tra speranze perdute, delusioni. L’unica risorsa che sembrano avere in questo mondo di speranze negate sembra essere, a primo impatto, la loro bellezza, invece si rivelerà essere la forza della loro amicizia. Attorno a loro ruota un microcosmo di personaggi frustrati che trovano sfogo nel sesso e nella droga.

I temi proposti sono, a mio parere, fin troppi. Dal tema dell’amicizia, a quello dell’adolescenza con i cambiamenti che essa comporta e quindi la presa di consapevolezza di se stessi. Poi c’è il tema della violenza familiare, della criminalità, del lavoro usurante e pericoloso in acciaieria. Come si può intuire, troppi temi per un libro relativamente breve con il rischio che nessuno di questi venga sviluppato adeguatamente.

Lo stile va dal monologo interiore, allo stile narrativo a vari passaggi dialogati caratterizzati da un linguaggio piuttosto vivido. Ogni tanto, soprattutto a fine capitolo, avevo l’impressione che l’autrice si compiacesse con frasi ad effetto che, sempre a mio modesto parere, avevano poco senso nel contesto.

Questo libro non mi è piaciuto particolarmente per tutte quelle motivazioni che ho già precedentemente presentato. La vicenda di un quartiere popolare di una realtà industriale così dura come quella dell’acciaieria è una buona idea, ma ho avuto l’impressione che l’autrice abbia affastellato un po’ troppe vicende, un po’ troppi temi. Ho trovato le due protagoniste poco piacevoli, non trovavo adeguatamente giustificati certi loro comportamenti, certe reazioni. Non c’è spessore psicologico e adeguata caratterizzazione in loro. Poco avvincente la scrittura dell’autrice, salvo il penultimo capitolo del testo nel quale ha saputo creare una certa aspettativa.

sabato 11 settembre 2021

JOHN STEINBECK: Furore

 

Pietra miliare della letteratura americana, Furore è un romanzo mitico, pubblicato negli Stati Uniti nel 1939 e coraggiosamente proposto in Italia da Valentino Bompiani l’anno seguente. Il libro fu perseguitato dalla censura fascista e solo oggi, dopo più di 70 anni, vede la luce la prima edizione integrale, nella nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni. Una versione basata sul testo inglese della Centennial Edition dell’opera di Steinbeck, che restituisce finalmente ai lettori la forza e la modernità della scrittura del Premio Nobel per la Letteratura 1962. Nell’odissea della famiglia Joad, sfrattata dalla sua casa e dalla sua terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come migliaia e migliaia di americani, rivive la trasformazione di un’intera nazione. L’impatto amaro con la terra promessa dove la manodopera è sfruttata e mal pagata, dove ciascuno porta con sé la propria miseria “come un marchio d’infamia”. Al tempo stesso romanzo di viaggio e ritratto epico della lotta dell’uomo contro l’ingiustizia, Furore è forse il più americano dei classici americani, da leggere oggi per la prima volta in tutta la sua bellezza.

Non penso ci sia molto da dire sull’autore di questo libro, è uno dei grandi nomi della letteratura americana; insignito di parecchi premi tra i quali anche il Nobel per la Letteratura del 1962. Io avevo la grande pecca di non aver ancora letto nulla di lui, prima di Furore, ma intendo assolutamente recuperare.

Questo libro è pieno di personaggi, ciascuno perfettamente caratterizzato, e soprattutto che rimangono nel cuore dei lettori. La famiglia Joad è costituita dal padre che, una volta persa la sua terra sente di aver perso la sua ragione d’essere, lui aveva nella sua terra e nel suo lavoro la sua identità; la madre è un personaggio, a mio parere, epico, è la vera forza della famiglia; poi c’è zio John con la sua disperazione esistenziale; Tom, il primogenito, il ragazzo un po’ fumantino con un passato difficile già alle spalle ma anche simbolo della voglia di resistere e lottare; Noah, il secondogenito, un po’ misterioso; Al, il giovane sbruffone, spensierato ma anche insofferente alle regole imposte; e i due piccoli anche loro già perfettamente delineati dalla penna di Steinbeck. Anche quei personaggi minori, che compaiono nello spazio di una pagina o di un capitolo, rivelano un mondo e lasciano nel lettore la loro traccia, e poi c’è anche una voce collettiva che sta a indicare il dramma comune di un intero popolo costretto ad affrontare una propria epopea, una sorta di seconda conquista del West, forse destinata ad un esito ancora più tragico della prima.

Cosa dire dello stile? La scrittura è meravigliosa. Come hanno già detto vari critici (che io indegnamente riprendo) è caratterizzato da più registri linguistici che si adattano ai vari personaggi. Tenta inoltre di riprodurre il parlato in maniera realistica. Io ho trovato il ritmo davvero incalzante, pur soffermandosi l’autore a descrivere e a sviluppare anche sequenze riflessive. Molte sono le parti dialogate ed estremamente efficaci, tanto è vero che i libri di Steinbeck si sono ben prestati a una riduzione cinematografica.

Penso che si sia perfettamente capito quanto questo libro mi sia piaciuto. L’ho trovato avvincente, emozionante, doloroso, illuminante, molto attuale. Mi ha fatto molto riflettere sia sulle dinamiche dell’emigrazione, ma anche sugli squilibri sociali degli Stati Uniti. Ciò che Steinbeck osserva degli anni Trenta tra contadini privati delle loro terre e i grandi latifondisti si può attualizzare ai vari gruppi etnico-sociali degli USA di oggi. Inoltre le riflessioni sul malcontento che porta gli uomini alla rivolta è, a mio avviso, una valutazione estremamente attuale.


sabato 4 settembre 2021

SALVATORE NIFFOI. Ritorno a Baraule

 

Ma perché mai, dopo tanti anni passati in continente, Carmine Pullana era tornato al paese? Per sapere, finalmente, la verità. Per cercare le tessere che mancavano al mosaico della sua vita, e morire in pace. Per scoprire, innanzitutto, che cosa era accaduto la notte in cui negli stagni davanti a Baraule era stato trovato il corpo straziato di Sidara Molas  e nella rete di Martine Rojas, noto Polifemo, era rimasta impigliata quella “cosa informe che sembrava un coniglio scuoiato, una spugna rossa inzuppata di sangue”, e invece era un neonato, “un innocente che non aveva neanche la forza di piangere”. Martine l’aveva messo ad asciugare pancia al sole dentro il berretto, e la creatura aveva ripreso a respirare. “Questo è uno che non vuole morire” aveva pensato il pescatore. “Qualcuno lo ha rispedito indietro dall’inferno”. Lo aveva portato a sua sorella Battistina, che lo aveva battezzato con l’acqua del pozzo. Carmine, Carminieddu, un angelo venuto dal mare: questo era per loro. Poi però Martine l’aveva venduto ad un proprietario barbaricino che aveva la moglie “vurvi arriunciuma”, e Battistina era morta dal dolore. Quelli lo avevano fatto crescere da signore, lo avevano fatto studiare, e Carmine era andato all’università ed era diventato chirurgo – anzi, era diventato “il salvatore dei bambini col cuore guasto”. Ma sempre, per tutti quegli anni, aveva rivolto a Dio la stessa tormentosa e dolente richiesta: di fargli scoprire un giorno il nome di suo padre e di sua madre. E adesso che dentro il petto aveva quel “cane che gli addentava i polmoni”, e quando tossiva sputava sangue – adesso era arrivato il momento di sapere.

Salvatore Niffoi è un autore sardo, originario della provincia di Nuoro, passato agli onori per aver scritto “La vedova scalza”, vincitore del Premio Campiello del 2006. Io personalmente ne ho perso poi le tracce. Questo libro stazionava sulla mia libreria da parecchio tempo e, finalmente, mi sono decisa a leggerlo.

Il protagonista è Carmine Pullana, un famoso cardiochirurgo che torna nella sua terra natale per scoprire qualcosa delle sue origini, dal momento che, fin da bambino, gli è stato detto di essere stato adottato e che le sue origini vanno ricondotte a un evento sanguinoso e misterioso che ha macchiato la storia di Baraule.

Tutti gli altri personaggi, che poi sono i vari testimoni della sua storia che Carmine va a interrogare sono figure di contorno che mettono insieme il puzzle della sua vicenda. Ognuno di loro ha una storia, dolorosa, alle spalle e una sua caratterizzazione che, seppure abbozzata è piuttosto ben delineata.

Il tema predominante è quello del ritorno alle proprie origini: una realtà primitiva, violenta, misteriosa e magica che il protagonista sembrava aver appositamente abbandonato per costruirsi una vita altrove, una carriera di rispetto, un’esistenza brillante. Invece, nel momento in cui si approssima per lui la morte, Carmine torna a Baraule perché vuole scoprire la verità, secondo tema del libro. Ma è possibile in una realtà atavica come quella descritta dall’autore in cui realtà, sogno e magia si intrecciano, scoprire la verità?

Lo stile è ciò che mi ha messo più in difficoltà. Non tanto il fatto che la trama si sviluppi dall’intreccio di più voci (che poi sembrano sempre la stessa), quanto per la crudezza e la violenza di queste voci, il riferimento costante a una realtà dura e violenta. L’intreccio linguistico creato dall’autore, una mescolanza di sardo (non so bene di quale zona) e di italiano non ha certo aiutato la lettura.

Era questo il primo libro che leggevo di Niffoi. Mi resta la curiosità di leggere “La vedova scalza” in quanto vincitore del Campiello, per il resto penso che andrò oltre questo autore.