domenica 9 maggio 2021

FRIEDRICH DURRENMATT: La morte della Pizia

 

Stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua crudeltà dei Greci, la sacerdotessa di Delfi Pannychis XI, lunga e secca come quasi tutte le Pizie che l’avevano preceduta, ascoltò le domande del giovane Edipo, un altro che voleva sapere se i suoi genitori erano davvero i suoi genitori, come se fosse facile stabilire una cosa del genere nei circoli aristocratici, dove, senza scherzi, donne maritate davano a intendere ai loro consorti, i quali peraltro finiscono per crederci, come qualmente Zeus in persona si fosse giaciuto con loro”. Con queste parole spigolose e beffarde ha inizio La morte della Pizia, e subito il racconto investe alcuni dei più augusti miti greci, senza risparmiarsi irriverenze e furia grottesca. Ma Durrenmatt è troppo buono scrittore per appagarsi di una irrisione del mito. Procedendo nella narrazione, vedremo le storie di Delfi addensarsi in un “nodo immane di accadimenti inverosimili che danno luogo, nelle loro intricatissime connessioni, alle coincidenze più scellerate, mentre noi mortali che ci troviamo nel mezzo di un simile tremendo scompiglio brancoliamo disperatamente nel buio”. L’insolenza di Durrenmatt non mira a cancellare, ma a esaltare la presenza del vero sovrano di Delfi: l’enigma.

Durrenmatt è un autore svizzero di lingua tedesca, grande autore teatrale, ma anche romanziere di grande pregio che ha coniugato la sua poetica attraverso vari generi. La morte della Pizia è il primo libro che leggo di questo autore e mi ha sorpreso per la velocità con cui l’ho letto. So bene che è un testo molto breve, ma davvero non riuscivo quasi a metterlo giù, pur non essendo affatto un testo semplice.

Prendendo spunto dal fatto che la Pizia ormai è anziana e in punto di morte, si ritrova a esaminare un famoso vaticinio di cui è stata protagonista, quella pronunciata a Laio e poi a Edipo. Innanzitutto Durrenmatt dissacra la tradizione, inventandosi che la Pizia, e con lei l’oracolo di Delfi, sia stato pagato da Tiresia per dare quel responso, ma poi il caso multiforme e sorprendente ha fatto in modo che quella profezia si sia realizzata, anche se non nelle modalità a cui siamo stati abituati dalla tradizione.

Naturalmente la protagonista è la Pizia che tra gli acciacchi dell’età e i turbamenti dati dai fumi si ritrova di fronte i protagonisti del mito che le raccontano la loro versione del mito di Edipo che è ancora più ingarbugliata di quella che conosciamo dalla tradizione e in cui ognuno porta avanti una sua visione della vicenda che la ingarbuglia ancora di più ma che comunque porta all'esito che tutti conosciamo.

Lo stile è innanzitutto avvincente. È molto attento, il linguaggio è aulico, quasi epico. Forse perché influenzata da quello che conosco dell’autore, l’ho trovato proprio teatrale. Con facili e veloci tocchi, l’autore ha saputo tratteggiare dei bei personaggi che ci comunicano una sorta di rabbia, rabbia rispetto all’inspiegabile.

Il tema presente in questo libro è quello caro a Durrenmatt; il caos che domina la vita degli uomini. Nonostante la natura umana si divida tra coloro che credono all’ordine dell’universo a cui si può dare una propria forma, e coloro che invece ritengono inconoscibile l’ordine del mondo (mi viene in mente una analogia con apollineo e dionisiaco) il messaggio è che l’universo è dominato dal caos. A latere c’è anche la riflessione sulla tirannide, cosa che si ricollega anche all’esperienza della vita dell’autore, vissuto in un periodo dominato dalle grandi dittature.

Naturalmente mi è piaciuto tantissimo perché ho trovato una bella reinterpretazione del mito classico, attribuirgli un nuovo significato e riversargli addosso la propria esperienza. E questa è sempre una bella esperienza.


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