“Stizzita
per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua crudeltà dei Greci, la
sacerdotessa di Delfi Pannychis XI, lunga e secca come quasi tutte le Pizie che
l’avevano preceduta, ascoltò le domande del giovane Edipo, un altro che voleva
sapere se i suoi genitori erano davvero i suoi genitori, come se fosse facile
stabilire una cosa del genere nei circoli aristocratici, dove, senza scherzi,
donne maritate davano a intendere ai loro consorti, i quali peraltro finiscono
per crederci, come qualmente Zeus in persona si fosse giaciuto con loro”.
Con queste parole spigolose e beffarde ha inizio La morte della Pizia, e
subito il racconto investe alcuni dei più augusti miti greci, senza
risparmiarsi irriverenze e furia grottesca. Ma Durrenmatt è troppo buono
scrittore per appagarsi di una irrisione del mito. Procedendo nella narrazione,
vedremo le storie di Delfi addensarsi in un “nodo immane di accadimenti
inverosimili che danno luogo, nelle loro intricatissime connessioni, alle
coincidenze più scellerate, mentre noi mortali che ci troviamo nel mezzo di un
simile tremendo scompiglio brancoliamo disperatamente nel buio”. L’insolenza
di Durrenmatt non mira a cancellare, ma a esaltare la presenza del vero sovrano
di Delfi: l’enigma.
Durrenmatt
è un autore svizzero di lingua tedesca, grande autore teatrale, ma anche
romanziere di grande pregio che ha coniugato la sua poetica attraverso vari
generi. La morte della Pizia è il primo libro che leggo di questo autore e mi
ha sorpreso per la velocità con cui l’ho letto. So bene che è un testo molto
breve, ma davvero non riuscivo quasi a metterlo giù, pur non essendo affatto un
testo semplice.
Prendendo
spunto dal fatto che la Pizia ormai è anziana e in punto di morte, si ritrova a
esaminare un famoso vaticinio di cui è stata protagonista, quella pronunciata a
Laio e poi a Edipo. Innanzitutto Durrenmatt dissacra la tradizione, inventandosi
che la Pizia, e con lei l’oracolo di Delfi, sia stato pagato da Tiresia per
dare quel responso, ma poi il caso multiforme e sorprendente ha fatto in modo
che quella profezia si sia realizzata, anche se non nelle modalità a cui siamo
stati abituati dalla tradizione.
Naturalmente
la protagonista è la Pizia che tra gli acciacchi dell’età e i turbamenti dati
dai fumi si ritrova di fronte i protagonisti del mito che le raccontano la loro
versione del mito di Edipo che è ancora più ingarbugliata di quella che
conosciamo dalla tradizione e in cui ognuno porta avanti una sua visione della
vicenda che la ingarbuglia ancora di più ma che comunque porta all'esito che
tutti conosciamo.
Lo
stile è innanzitutto avvincente. È molto attento, il linguaggio è aulico, quasi
epico. Forse perché influenzata da quello che conosco dell’autore, l’ho trovato
proprio teatrale. Con facili e veloci tocchi, l’autore ha saputo tratteggiare
dei bei personaggi che ci comunicano una sorta di rabbia, rabbia rispetto all’inspiegabile.
Il
tema presente in questo libro è quello caro a Durrenmatt; il caos che domina la
vita degli uomini. Nonostante la natura umana si divida tra coloro che credono
all’ordine dell’universo a cui si può dare una propria forma, e coloro che
invece ritengono inconoscibile l’ordine del mondo (mi viene in mente una
analogia con apollineo e dionisiaco) il messaggio è che l’universo è dominato
dal caos. A latere c’è anche la riflessione sulla tirannide, cosa che si ricollega
anche all’esperienza della vita dell’autore, vissuto in un periodo dominato
dalle grandi dittature.
Naturalmente
mi è piaciuto tantissimo perché ho trovato una bella reinterpretazione del mito
classico, attribuirgli un nuovo significato e riversargli addosso la propria
esperienza. E questa è sempre una bella esperienza.
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