Il
professor Coleman Silk da cinquant’anni nasconde un segreto, e lo fa così bene
che nessuno se n’è mai accorto prima,
nemmeno sua moglie o i suoi figli. Un giorno però basta una parola detta per
sbaglio, e su di lui si scatenano le streghe del perbenismo, gli spiriti
maligni della political correctness. Allora tutto il suo mondo, la sua
brillante vita accademica, la sua bella famiglia crollano. E non c’è scampo,
perché “noi lasciamo una macchia, lasciamo la nostra impronta. Impurità,
crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui”.
Mi
sono avvicinata per la seconda volta a questo grande autore che è Philip Roth
con uno dei suoi testi più celebri facente parte della sua trilogia americana.
Non
posso non dire che leggere Roth non sia una impresa complessa: per la densità
dei contenuti e per la modalità decisamente articolata della sua scrittura, il
suo periodare ampio, pieno di parallelismi, ripetizioni, metafore. In sé e per
sé la trama di questo libro non è per nulla complessa, per quanto la
costruzione dei personaggi sia complessa e ne venga ricostruito il passato
attraverso dei lunghi e complessi flashback. Quello che conta nel romanzo di
Roth è la costruzione dei personaggi e della loro personalità che è così
complessa ed approfondita da risultare così reale sulla pagina che quasi ti
stupisci della reazione che ti scatenano. Si tratta, in generale, di
personalità particolarmente complesse e dotate di chiaroscuri.
Si
parte dal protagonista principale, Coleman Silk, insegnante di lettere
classiche dell’università di Athena, la cui fulgida carriera è incappata in un
incidente, diciamo, linguistico.
Egli
ha un segreto che ha tenuto nascosto anche alla propria famiglia, quello che mi
ha sorpresa è che io questo segreto l’ho capito solo nel secondo capitolo e non
so se questo è dipeso da una mia “ingenuità, ma ho avuto la sensazione che il
lettore fosse messo, inizialmente, nella posizione di tutti coloro che
conoscevano solo una parte di Coleman Silk.
Poi
c’è Faunia, la sua giovane amante, una donna dalla personalità così complessa,
così diversa da qualsiasi personaggio femminile io abbia letto in precedenza,
così contraddittoria ma, nello stesso tempo, così reale, così carnale in tutti
i suoi sbagli e le sue disillusioni…
Lester,
il suo ex marito, che dovrebbe essere un uomo odioso e che invece io, come
lettrice, non potevo non ricondurre al suo passato traumatico. Questo non scusa
certo il suo comportamento violento, ma non può non accentuare la sfaccettatura
della sua personalità. Infine Delphine Roux, giovane collega di Coleman Silk,
colei che ha cavalcato lo scandalo contro il prestigioso professore. Dietro le
sue meschinerie non puoi evitare di intravedere la sua debolezza e la sua
goffagine; non dico che possa risultare simpatica, ma leggermente più
comprensibile.
In
tutti loro si incarna molto bene il concetto alla base di questo libro, ossia
che l’uomo è inevitabilmente destinato non solo all’errore, ma anche al male. La
macchia fa parte di ciascuno di noi.
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