Quando, dopo dieci anni e dopo il famoso assedio di Troia da parte dei Greci, Elena viene riportata in patria, Menelao ha solo una domanda da farle: perché? Perché ha deciso di scatenare una guerra? La risposta di Elena è semplice. Le sembrava l’unico modo di dimostrare a tutti l’esistenza di Elena di Sparta, l’unico modo che aveva di essere ascoltata. “Racconta, allora”, le dice Menelao. Ed Elena comincia a raccontare. Fin da piccola l’idea di essere considerata una dea le era parso qualcosa di grandioso, presto quella pura illusione si infrange. Teseo la rapisce e la stupra, quando Castore e Polluce, suoi fratelli, vanno a riprendersela viene data in sposa a Menelao e diventa la regina di Sparta. Ma Elena non si accontenta e decide di fuggire con Paride verso Troia, città in cui le donne contano quanto gli uomini, in cui possono scegliersi i mariti. Presto però si rende conto che anche lì il suo parere non è richiesto. Elena racconta non per ammettere colpe né per giustificarsi. Non vuole essere compresa o perdonata, lo fa perché la sua storia, quella di una donna prigioniera del proprio corpo o identificata con esso agli occhi degli uomini, possa infine uscire dalle sue viscere e trovare pace.
L’idea
della trama mi era parsa piuttosto buona e mi aveva molto incuriosita. Si
tratta di una riscrittura del mito classico dal punto di vista di chi non ha
mai parlato molto, pur essendo un personaggio molto coinvolto nei fatti della
guerra di Troia: Elena. Il libro ripercorre la sua esperienza, dalla
fanciullezza alla maturità, ripercorrendo i miti e l’epica che la coinvolgono.
Ho avuto l’impressione che l’autrice non abbia esattamente attualizzato il mito
ma riversato nel mito tanti temi dell’oggi e della questione femminile. Al
centro c’è un personaggio da sempre visto e giudicato per la sua meravigliosa
bellezza e mai davvero ascoltato e guardato da chi le sta intorno. Elena vuole
imporre al mondo che la circonda la sua essenza di donna, la sua personalità
(tema poco pertinente per l’antichità, ma tanto caro ai contemporanei).
Inevitabilmente Elena appare incapace di entrare in connessione con gli altri
se non con la sua bellezza, so che è la sua grande risorsa, anche se lei non
vuole che sia così.
Non
ho particolarmente apprezzato questa versione di Elena. Nonostante non sia mai
stato uno dei miei personaggi preferiti dell’epica, mi aspettavo da questo
libro una storia che desse un’immagine tragica di Elena (certo, eguagliare
Euripide è difficile!) invece ci ho ritrovato quello che, a mio avviso, è un
personaggio immaturo, egocentrico che non ha avuto una particolare evoluzione
nel corso del racconto. Se questa era la volontà dell’autrice, evidentemente ha
realizzato il suo intento. La mia delusione nasce da aspettative molto diverse.
La
voce narrante, che è quella di Elena, mi è sembrata inadatta. Se a raccontare è
la Elena adulta, anzi anziana, che ha vissuto almeno due vite, si esprime come
una ragazzina capricciosa alle sue prime esperienze. Se l’assenza di crescita
in Elena è voluta, a causa di una sua mancata maturazione, causata dai traumi
subiti, allora l’autrice ha raggiunto il suo intento. Io ho avuto l’impressione
che la giovane età dell’autrice non le abbia consentito di dare una voce
adeguata alla stanchezza e alle disillusioni di una donna matura che ha
attraversato l’inferno e ne è uscita salva.
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