È
spargendo al vento le ceneri della madre che Martin Brenner, genetista all’apice
di una brillante carriera, marito e padre felice, comincia ad interrogarsi sul
suo rapporto con lei: perché ha sempre sentito che un velo si frapponeva tra
loro? Scoprirà il motivo in una lettera che lei gli ha lasciato: quello che li
divideva era un segreto. Sua madre non si chiamava Maria, ma Gertrud, ed era un’ebrea
sopravvissuta ai lager. Glielo aveva nascosto per proteggerlo, ma anche per
lasciarlo libero di scegliere, da adulto consapevole, la propria identità e la
propria vita. Ma qual è la scelta davanti a una rivelazione così scioccante? E cosa
vuol dire poi essere ebreo? Con il razionalismo dello scienziato, Martin si
getta in ogni genere di letture, ricerche, discussioni con l’amico Simon e il
rabbino Golder, per poter decidere: tenere il segreto o accettare la sua
ebraicità, sconvolgendo non solo la propria esistenza, ma anche quella della
sua famiglia, nonché quel quieto rapporto di “reciproca indifferenza” che ha
sempre avuto con Dio? Ed è davvero libero di scegliere o è in realtà costretto
ad accettare una definizione che per un genetista, e ateo, non ha alcun
significato, è un’apparenza che non sente? Con la sua capacità rabdomantica di
captare i grandi temi del presente e trasformarli in storie da leggere d’un fiato,
Bjorn Larsson affronta uno dei grandi equivoci di oggi – l’identità elevata a
vessillo di divergenza e inconciliabilità e l’appartenenza come bisogno
primordiale eretto a muro divisorio – per rivendicare il diritto di ognuno di
essere guardato e giudicato per l’unica vera identità che abbiamo: quella di
singole persone.
Non
sarà facile per me parlare di questo ultimo libro letto. È stata per me un’esperienza
del tutto nuova sia per quanto riguarda la tematica, sia per quanto riguarda lo
stile. Partiamo dalla tematica: la ricerca di identità, e il rapporto tra
eredità genetica, ambiente in cui si è cresciuti e di vive e il libero
arbitrio. Queste tematiche sono declinate nella vicenda del protagonista che
deve venire a patti con la sua origine ebraica che gli è stata nascosta per
buona parte della sua vita. Mi ha colpito molto il gesto, comunque d’amore, di
Gertrud di lasciare, anche se dopo la sua morte, al figlio la libertà di
scegliere chi essere e cosa fare delle sue radici.
Inevitabilmente,
a questo argomento si collega una riflessione del protagonista sull’antisemitismo
e sull’Olocausto. Dopo attente e approfondite riflessioni, Martin arriva a fare
delle interessanti conclusioni su antisemitismo, sionismo, responsabilità dello
Stato di Israele. La parte finale, in tutta sincerità, mi ha fatto piuttosto
male perché non capivo e non trovavo giusto che il protagonista dovesse
affrontare certe cose. Tutto alla fine trova un senso.
Per
quanto riguarda lo stile, avrei un paio di cose da dire. Il libro si divide in
tre parti. La prima è a tutti gli effetti un romanzo raccontato in terza
persona da un narratore esterno. In essa non avviene chissà quale trama
sconvolgente ma viene ricostruito tutto il lavorio intellettuale di Martin all’indomani
della sua scoperta. Non mi vergogno a dire che questa prima parte è stata a
tratti estremamente pesante e difficile da seguire: riferimenti bibliografici
ardui ma soprattutto una lucida riflessione su temi complessi quali le
genetica, il libero arbitrio, il sionismo…
Le
ultime due parti, invece, danno voce direttamente a un ipotetico scrittore a
cui Martin chiede di scrivere la sua storia. Questa è una sezione un po’
destabilizzante perché ti fa rivedere in maniera diversa quanto letto in
precedenza. Soprattutto lascia costante al lettore il dubbio se quello letto
sia o meno una storia vera e questa cosa ti fa gelare il sangue perché,
razionalmente, penseresti che non sia possibile che a una persona capiti tutto
questo solo per il fatto di essere di origine ebrea. L’ultima parte, infine, non
mi è piaciuta particolarmente perché, per quanto efficace, ha risolto in
maniera, secondo me, banale la vicenda.
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