Messina, 15 agosto 1839.
In casa del maresciallo don Peppino Padellani di Opiri fervono i preparativi
per la festa dell’Assunzione della Vergine. Agata – tredicenne figlia del
maresciallo – è innamorata del ricco Giacomo Lepre, ma, benché ricambiata, è
costretta a rinunciare al suo amore: la nobiltà della famiglia non basta a
compensare il dissesto economico. Alla morte del maresciallo, la madre la porta
con sé a Napoli e la forza a entrare in convento. Nel monastero benedettino di
San Giorgio Stilita si intrecciano amori, odi, rancori, gelosie, passioni
illecite e vendette. Eppure Agata, dopo lo scoramento iniziale, si appassiona
allo studio e alla coltivazione delle erbe medicinali, impara a fare il pane e
i dolci e, confortata dalla rigida scansione della giornata monastica, legge i
libri che il giovane capitano James Garson (incontrato sul piroscafo che l’ha
condotta a Napoli) le manda con regolarità. Agata ha accettato la vita del
chiostro, ma il desiderio di vivere nel mondo non l’ha abbandonata ed è incuriosita
delle sorti dei movimenti che aspirano all’Unità d’Italia. La contraddizione si
fa sempre più netta, anche se i sentimenti verso Giacomo cominciano a sbiadire
e cresce l’attrazione nei confronti di James, presenza costante – benché sottotraccia
– nella sua vita. Quando più si inasprisce il conflitto interiore, tanto più il
futuro si colpa di orizzonte e di speranza. Sorella mediterranea delle eroine
di Jane Austen, che infatti legge appassionatamente, l’Agata di Simonetta
Agnello Hornby porta con sé una forza spirituale nuova, modernissima. Una
forza, una determinazione – di giovane donna fedele a se stessa e ai propri
sentimenti – da leggere a partire dal nostro tempo per arrivare al suo.
Questo
libro è un grande boh!
La
trama, seppur abbastanza già sentita, poteva avere dei buoni spunti che, a mio
avviso, sono stati sviluppati in maniera piuttosto sommaria. Il contenuto ben
si prestava ad avere uno sviluppo da grande romanzo storico, invece alcuni
spunti sono stati solo accennati (ad esempio, per quanto riguarda i moti risorgimentali).
Questo, però, non avviene per dare maggiore spazio allo sviluppo dei
personaggi. La sensazione è quella di aver messo, inutilmente, molta carne al
fuoco.
Alcuni
personaggi sono ritratti in maniera tradizionale: la nobiltà siciliana cieca,
ostentatrice e sprecona; la nuova generazione borghese illuminata… Anche in
questo caso, tutto molto abbozzato. Agata non ha un comportamento ben definito
e chiaro, oscilla tra varie scelte senza che se ne capisca il motivo. I suoi
comprimari sono del tutto anonimi.
Stile
piacevole, secondo me meglio riuscito nelle parti descrittive, un po’ troppo
didascalico in quelle di ricostruzione storica. Ho apprezzato la descrizione di
usi e costumi del tempo. Non amo, in questa autrice, l’introduzione casuale e
immotivata di parole siciliane non amalgamate al resto del lessico.
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