venerdì 18 novembre 2011

SHANNON DRAKE: La maledizione del serpente

TITOLO: La maledizione del serpente
AUTRICE: Shannon Drake
TITOLO ORIGINALE: Wicked
USCITA ITALIANA: GRS Special 73 maggio 2007
GIUDIZIO PERSONALE:Image Hosted by ImageShack.usImage Hosted by ImageShack.usImage Hosted by ImageShack.usImage Hosted by ImageShack.us
Londra 1891-1899
Quando il suo tutore, Tristan Montgomery, viene sorpreso a rubare degli antichi manufatti egizi nella residenza dei Carlyle, Camille non può fare a meno di correre in suo aiuto e viene così invitata dal conte in persona a trattenersi come sua ospite al palazzo. Lui, soprannominato la bestia di Carlyle perché indossa una maschera per nascondere il volto sfigurato, ha subito intravisto nella coraggiosa fanciulla lo strumento ideale della propria vendetta: è convinto infatti che il responsabile delle sue sventure si annidi tra i collaboratori del British Museum, dove anche Camille lavora, e per raggiungere i suoi scopi non esita a esporla a terribili pericoli. Ma non ha fatto i conti con l’attrazione che divampa tra lui e l’avvenente egittologa, e con i serpenti che si annidano non solo all’ombra delle piramidi, ma anche fra i preziosi reperti archeologici custoditi nel museo.
A primo acchito sembra di essere di fronte a una nuova versione di La Bella e la Bestia, non a caso il protagonista viene chiamato La Bestia di Carlyle perché indossa sul volto, che si dice sia stato terribilmente deturpato da una ferita, una maschera dalle fattezze mostruose. Poi ci si addentra nella storia e ci si ritrova invischiati in un mistero archeologico e un giallo particolarmente ingarbugliato. Fino alla fine le soluzioni al mistero sono molteplici e tutte perfettamente credibili. La sua risoluzione non è di facile intuizione per il lettore, almeno per me che non sono particolarmente intuitiva.
Come Bella, Camille Montgomery si ritrova a varcare le lugubri porte del castello del conte di Carlyle dopo aver saputo che il suo tutore è lì, tenuto prigioniero. Si ritrova di fronte la famigerata Bestia che non intende rilasciare Tristan Montogomery ma, al contrario trattiene lei stessa. Camille serve a Brian Stirling Conte di Carlyle per rientrare al British Museum e riprendere le ricerche sul responsabile dell’atroce morte dei genitori. Camille, infatti, lavora come traduttrice presso il Dipartimento di antichità egizie del British e i suoi più vicini colleghi sono quegli stessi che hanno accompagnato i Conti di Carlyle nella loro ultima spedizione in cui hanno scoperto un’importantissima tomba per morire in seguito al morso di un cobra. Tutti pensano che la loro morte sia dovuta alla maledizione dei faraoni che colpisce i profanatori e i loro discendenti. La stessa maledizione sembra aver colpito Brian, e il suo volto ne è testimonianza. Inoltre, quando dopo un anno di isolamento Brian riappare al fianco di Camille in società, ogni occasione si conclude con una morte o un pericoloso incidente. Nonostante tutti questi inquietanti particolari, Camille si sente stranamente attratta dal conte e neanche il mistero del suo volto riesce a bloccarla.
Brian è convinto che i suoi genitori siano stati uccisi a causa di una loro preziosa scoperta e che il loro assassino si aggiri ancora nel suo castello, approfittando dei molti, e ancora inesplorati, passaggi segreti.
Il mistero va avanti fino a pervenire a una inquietante risoluzione, ma tutti i partecipanti alla spedizione sono dei possibili indiziati, oltre al fatto che lo stesso conte potrebbe essere interessato a eliminare i collaboratori dei genitori. È un libro in cui tutti dubitano di tutti e l’autrice è abile a coinvolgere il lettore in questo clima di scetticismo.
L’atmosfera prevalente è, quindi, abbastanza cupa ma, nonostante ciò, le interazioni tra i due protagonisti sono brillanti, veloci, sostenute. Camille è una protagonista decisa, testarda, autonoma. Ha una particolare abilità a cacciarsi nei guai, ma è anche molto abile a intuire il mistero e a risolverlo. Brian si vorrebbe mostrare come un uomo profondamente tormentato, e in parte lo è. Ma non perde una certa ironia, soprattutto quando ha a che fare con Camille. In effetti non è proprio la Belva che vuol far credere di essere, neanche fisicamente, visto che le sue cicatrici sono quasi invisibili. Quindi quella maschera che indossa è come un non voler accettare la nomea, il ruolo (pirandellianamente parlando) che la società gli impone e questo per lui è una forma di difesa perché dietro la rabbia nasconde i suoi veri sentimenti, il dolore per la morte dei genitori e la solitudine.
Una nota positiva per l’abilità dell’autrice, di provata esperienza, nel condurre e dirimere un intricatissimo giallo e nel non renderlo troppo cupo e pesante.
Consigliato.

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