martedì 15 novembre 2011

ROSEMARY ROGERS: Il giglio sulla pelle

Marisa, una bellezza acerba e ribelle, fa perdere la testa a nobili e principi nell’Europa tormentata dalle guerre napoleoniche. Pur di assaporare la vita fino in fondo, è disposta a pagare di persona e subirà per questo il marchio dell’infamia, il giglio impresso nella carne delle prostitute. Solo un uomo sembra in grado di tenerle testa, l’avventuriero senza scrupoli che l’ha resa donna, e che la insegue dall’harem di un sultano alla corte di Parigi fino alle selvagge distese della Louisiana.
Quando mi fisso a dare un’ulteriore possibilità a certe autrici sono veramente diabolicamente perseverante. Già in precedenza avevo letto due romanzi della Rogers e in entrambi i casi ero rimasta sconvolta dall’odiosità dei protagonisti e dall’uso gratuito della violenza: tutti elementi che ritrovo nuovamente in questo romanzo.
Il racconto è lungo e intricato ed è abbastanza difficile riassumerli in breve: fa letteralmente venire il capogiro per la quantità di minacce e intrighi che circondano la protagonista.
Lei si chiama Marisa ed è una giovane nobile originaria delle colonie spagnole e mandata dal padre in Spagna per perfezionare la sua formazione. Insieme alla madre si ritrova in Francia durante la Rivoluzione francese e riesce a scampare alla ghigliottina e a rifugiarsi in un convento. Un giorno viene a sapere che il padre l’ha destinata in sposa a un tale don Pedro Harteaga che lei non conosce nemmeno. Per evitare questo matrimonio indesiderato fugge dal convento e si rifugia presso gli zingari. Qui viene presa da un nobiluomo, condotta su una nave e violentata una prima volta.
Da qui inizia una serie di avventure che porta Marisa alla corte di Napoleone, la costringe a sposare il suo violentatore, Dominic Challenger, cadere prigioniera in un harem di un sultano, tornare nuovamente col marito, di nuovo alla corte francese dove diventa l’amante di Napoleone e poi di nuovo nelle colonie americane, la Nuova Spagna, ossia l’attuale zona della Louisiana. Qui, ad un certo punto viene venduta comne schiava e salvata di nuovo dall’ex marito e ancora non finisce qui…
Nella sostanza la trama si risolve in una serie di violenze dopo l’altra. Ma come si possono scrivere tali cose? Mi viene da chiedermi: ma cosa hanno fatto gli uomini alla Rogers per continuare a descriverli in questo modo? Sono duri, violenti, gelosi e sospettosi. È impossibile sopportarli. E dall’altra parte le donne sono prede senza volontà propria che subiscono in continuazione. Anche la nostra protagonista odia ferocemente il suo compagno per tre quarti del libro, poi all’improvviso si accorge di desiderarlo, di apprezzare la sua vicinanza e poi, addirittura, di amarlo.
Alla fine Marisa non subisce più le azioni degli altri ma prende l’iniziativa e lotta per poter salvare il suo amore in pericolo di vita.
Anche tutta la rabbia e la violenza di Dominic crolla all’improvviso e si rivela la sua vera natura tenera. Probabilmente le sue reazioni nascono dai traumi subiti nell’infanzia: l’allontanamento forzato della madre e l’odio di colui che pensava fosse suo padre. Questo e altro gli hanno provocato un senso di sfiducia nelle donne e questo è all’origine del suo comportamento verso Marisa.
Forse era il caso che l’autrice sottolineasse la psicologia dei personaggi piuttosto che le azioni, spesso troppo violente ed esagerate.
Io non consiglierei di leggerlo

1 commento:

  1. Concordo pienamente!!! Non si può parlare neanche lontanamente di amore in questo libro!!!!!!!!!!!
    Veramente brutto.

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