giovedì 17 novembre 2011

KHALED HOSSEINI: Il cacciatore di aquiloni

Si dice che il tempo guarisce ogni ferita. Ma, per Amir, il passato è una bestia dai lunghi artigli, pronta a inseguirlo e a riacciuffarlo quando meno se lo aspetta. Sono trascorsi molti anni dal giorno in cui la vita del suo amico Hassan – il ragazzo dal viso di bambola, il cacciatore di aquiloni – è cambiata per sempre in un vicolo di Kabul. Quel giorno Amir ha commesso una colpa terribile. Così, quando una telefonata inattesa la raggiunge nella sua casa di San Francisco, capisce di non avere scelta: deve partire, tornare a casa, per trovare il figlio di Hassan e saldare i conti con i propri errori mai espiati. Ma ad attenderlo, a Kabul, non ci sono solo i fantasmi della sua coscienza. C’è una scoperta sconvolgente, in un mondo violento e sinistro dove le donne sono invisibili, la bellezza è fuorilegge e gli aquiloni non volano più. Trent’anni di storia afgana – dalla fine della monarchia all’invasione russa dal regime dei Talebani fino ai giorni nostri – rivivono in questo romanzo coinvolgente e pieno d’atmosfera.
Che romanzo struggente! Quando ti rendi conto come da un’altra parte del mondo  la vita sia molto difficile e ci siano destini spezzati a causa di assurde situazioni politiche e di scelte vergognose di alcuni uomini, ti rendi conto della fortuna di essere nata nella parte “giusta” del mondo. Questo libro è un bestseller da ormai parecchi anni e io ho voluto aspettare un po’ prima di affrontare questa avventura, questa immersione in una storia di dolore e di speranze.
La storia dei protagonisti si svolge proprio nei poco più di trent’anni che corrispondono alla mia vita e la cosa mi ha particolarmente colpito. Mentre io vivevo serenamente la mia infanzia, adolescenza, giovinezza, da un’altra parte del mondo una nazione attraversava circa quattro regimi, uno peggiore dell’altro, che l’hanno prostrata, distrutta, impoverita e che hanno tolto infanzia e giovinezza a molti bambini.
La storia racconta dell’amicizia tra Amir e Hassan e di come essa fu interrotta in seguito ad eventi drammatici che inducono nel protagonista un senso di colpa che lo accompagnerà per tutta la vita. Amir e il padre saranno, poi, costretti a lasciare l’Afghanistan invaso dai russi che imposero un regime comunista, e a trasferirsi negli Stati Uniti. Lì i due devono affrontare un nuovo inizio e un processo positivo di integrazione.
Fin quando, parecchi anni dopo, le notizie delle malefatte del governo dei Talebani inducono Amir a tornare in patria, ad attraversare il proprio purgatorio per la cancellazione dell’antica colpa e a salvare la vita di un bambino dall’infanzia negata.
È, questo libro, un modo per ripercorrere i drammatici eventi, dal 1975 al 2001, attraversati da una nazione piena di bellezze e contraddizioni in cui l’incuria della classe dirigente e dell’opinione internazionale ha permesso l’affermarsi dell’integralismo islamico. Ciò che più mi ha colpita è la consapevolezza di tante vite spazzate via per la crudeltà di alcuni e l’indifferenza di molti e il vuoto negli occhi di un bambino che a dieci anni ha già visto ciò che di più brutto la vita possa offrire.

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