lunedì 14 novembre 2011

CATHERINE TEXIER: Victorine

“Ci sono famiglie di giocatori d’azzardo, famiglie di rivoluzionari, famiglie di dongiovanni. La mia ha la sua parte di donne stravaganti. Donne ribelli e indomabili, donne che rifiutano il giogo della vita matrimoniale. Forse si tratta di una sorta di gene recessivo, che ogni tanto salta una generazione. Mia nonna non l’aveva, mia madre sì. E così pure la mia bisnonna, Victorine”.
L’autrice sin da bambina è incuriosita da quella bisnonna di cui nella grande casa di famiglia si parlava sempre a bassa voce. Mormorii morbosi che s’interrompevano bruscamente non appena lei entrava in una stanza. Divenuta adulta, giornalista pluripremiata e scrittrice di successo, ha pensato un giorno di indagare su quella figura ritenuta scandalosa, ed è rimasta a tal punto affascinata dalla storia che pian piano andava ricostruendosi davanti ai suoi occhi da decidere di raccontarla. E qui la grande narratrice ha preso il sopravvento: sullo scarno canovaccio delle velate allusioni, dei ricordi dei pochi parenti disposti a collaborare, con l’aiuto di foto, certificati, documenti, Catherine Texier ha tessuto un grande romanzo, per il quale la critica ha scomodato paragoni molto illustri, da MADAME BOVARY di Flaubert a L’AMANTE di Margherite Duras. Victorine ci viene presentata già anziana, nel corso di una grigia giornata autunnale del 1940, mentre sulla spiaggia aspetta che il figlio Maurice la venga a prendere. Davanti a lei l’oceano, l’orizzonte da fine del mondo, in grembo un diario, il suo. Rileggendo quelle pagine ormai sbiadite è Victorine in persona, su quella stessa spiaggia dove conobbe l’amore, a ripercorrere il passato, trascinandoci assieme ai suoi ricordi nel gorgo della passione, e della colpa, una colpa che si chiama Antoine. Victorine è solo una ragazzina quando lo incontra la prima volta, e ne rimane ammaliata, stregata da quegli occhi azzurri che le lanciano una sfida: andare a vedere cosa c’è oltre l’orizzonte. Non sa ancora spiegare l’eccitazione che la prende quando lui la guarda, la tocca, quando le chiede di seguirlo nel suo viaggio verso il sogno. Ma Antoine partirà da solo, e non sarà lui ad averla; almeno non per primo. Perché, mentre è lontano, Victorine sposa Armand, il solido Armand, marito fedele e buon padre per i suoi bambini, pieno di quell’amore che sembra bastare per tutti e due. Sembra: Victorine infatti non è felice. Victorine aspetta. Sa che c’è qualcos’altro, qualcosa a cui non sa dare un nome ma che comprende infine quando Antoine, sulla stessa spiaggia su cui si sono scambiati il primo bacio, le rifà la medesima domanda: “Verresti con me?”. E questa volta Victorine parte: abbandona il lavoro d’insegnante per il quale aveva così duramente lottato, in un’epoca in cui le donne per bene stavano a casa a occuparsi della famiglia. Parte, in una fuga irragionevole eppure giusta, un viaggio avventuroso verso la libertà di amare, verso una terra sconosciuta e pericolosa – l’Indocina -, verso la passione troppo a lungo sopita. Con una scrittura limpida e insieme lirica, evocativa, romantica l’autrice fa spaziare la memoria di Victorine dalla sonnolenta Vandea di fine Ottocento ai profumi e agli odori dell’oriente, al calore quasi “liquido” di quello che oggi si chiama Vietnam, e il flusso ininterrotto dei suoi ricordi ci rende totalmente partecipi dell’estenuante lotta fra senso del dovere e anelito alla libertà, fra desiderio e rimpianti, fra colpa e sensualità, VICTORINE – UNA STORIA D’AMORE è un capolavoro di seduzione, con una protagonista davvero straordinaria che resterà impressa a lungo nella mente e nel cuore di tutti i lettori.
Da dove iniziare? Forse dal fatto che non ho capito proprio il motivo per cui l’autrice ha sentito la necessità di raccontare questa storia. Forse le proprie origini, soprattutto quando hanno un che di misterioso, possono risultare sempre affascinanti, ma non altrettanto si può dire certo per il lettore che si trova davanti a una storia che ha ben poco di affascinante. La protagonista è Victorine giovane maestra della Vandea che si ritrova ad appena 17 anni a sposarsi e ad avere in poco tempo due figli. Il matrimonio non è un disastro ma neanche nulla che gratifichi realmente la giovane donna. Forse la giovane età, o forse le aspirazioni personali, lasciano qualcosa di insoddisfatto nella protagonista. Il marito sembra troppo rozzo, i figli, per quanto amati, non costituiscono una vera realizzazione. Fin quando all’orizzonte si profila un vecchio amore e Victorine viene afferrata dalla brama di evadere, di lasciarsi alle spalle quel piccolo mondo fatto di lavoro, di doveri, di grandi pranzi familiari e di un fondamentale nulla… Di fronte a tutto ciò un giovane bello e intraprendente che ha viaggiato acquista un fascino letale che spinge la protagonista a lasciare tutto e a seguirlo in Indovina. Lì, per quanto affascinata dalla cultura locale e inorridita dallo sfruttamento dei francesi nei confronti delle colonie, non riesce a sentirsi del tutto realizzata. È come una donna lacerata in due che non sa realmente quale sia il suo posto. Sì, in effetti è veramente una donna a metà tra Madame Bovary e la protagonista dell’”Amante” della Duras, se questo non risultasse troppo ardito, visto lo scarso valore letterario, secondo me, di questa testa. Quello che deduciamo vagamente essere il tormento psicologico della protagonista non è messo ben in evidenza né lo è il mondo coloniale con i suoi profumi, i suoi colori, i suoi fumi intrisi di oppio. Del resto la scrittrice ha dovuto ricostruire il tutto sulla base di poche informazioni e qualche pettegolezzo circolante in famiglia. Ma forse proprio per questo doveva lanciare di più la fantasia e costruirsi un’eroina più intensa

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